lunedì 1 agosto 2011

Gli occhi di David


Tra qualche giorno, David compirà tre anni dal suo ingresso nella casa de los niños.

Nell’agosto del 2008, infatti, andammo in ospedale a Cochabamba per prendere il primo contatto con lui, su invito delle assistenti sociali di quel centro pediatrico. Data la sua situazione drammatica, non ce la sentivamo sinceramente di prenderlo qui a casa con noi, anche per la mancanza di esperienza di fronte alla sua malattia.

Che significava idrocefalia? Che conseguenze ne derivavano? Che aspettative di vita poteva avere un bimbo nato con una disfunzione cerebrale così grave? Che reazioni poteva provocare sugli altri bimbi? Cosa potevamo offrirgli noi?

“La mamma l’ha abbandonato e non sappiamo a chi affidarlo: fateci il favore di tenerlo un paio di settimane con voi finché non si libera un lettino in un altro centro specializzato in questo tipo di malattie. In tutti i modi, non ci sono molte speranze per lui,” ci supplicarono le assistenti sociali dell’ospedale.

Furono convincenti, e qualche giorno dopo, il 26 agosto del 2008, David iniziò la sua nuova vita nel caos della casa de los niños. La parola caos è quasi un eufemismo se si pensa che in quel periodo vivere nella casa de los niños significava per lui condividere gioie, giochi e giornate con i terribili 5: Evita, María René, Sebastián, Jhonatan piccolo e Manuelito gambe di gesso. Che banda!

Ma, come scrivemmo proprio in quei giorni, David si conquistò in fretta la simpatia di tutti e divenne il sesto fratellino che mai avremmo permesso fosse trasferito in un altro centro, certamente più specializzato del nostro. E così è stato.

Ecco solo alcune linee di quanto scrivemmo tre anni fa, credo che ci fa bene rileggerle: “David puó mangiare solo cose liquide o latte, non parlerá mai, non camminerá mai, rimarrá legato alla sua culla e alle cure di quanti avranno la fortuna di volergli bene... La sua vita dipenderá dall’amore altrui. Ma Lui sa ricambiare con il centuplo in sorrisi o pianti, o con lo slancio delle manine rivolte verso il cielo...”

Ricordo che quella sera, quando scrissi su di lui per la prima volta, eravamo stati con tutti i bimbi a giocare nella stanza dei materassi e fu un’esperienza indimenticabile di testardaggine e bontà. E scrivevo ancora:

"E i suoi occhi luccicavano di gioia come i miei...
ció che é profondamente bello, vero e buono si vede solo con gli occhi del cuore...”


Riprendo in mano questi ricordi perché qualche giorno fa sono tornato nella stanza dei materassi a giocare con David. I suoi 5 fratelli, terribili, se ne sono andati felici a vivere qui accanto con le loro rispettive famiglie... Lui è cresciuto, tra poco compirà 7 anni. La sua testa, piena di liquido che le due cannule che scendono lungo collo riescono ora a drenare abbastanza bene, non spaventa più come i primi tempi perché si è ridimensionata alla crescita di tutto il resto del corpo. Ed anche le mie considerazioni di tre anni fa devono essere ridimensionate perché non è vero che può mangiare solo cose liquide e latte, e non è vero che non camminerà mai e non è vero che rimarrà legato alla sua culla. Certo, il resto è vero: i suoi sorrisi, i suoi pianti, gli slanci delle sua manine verso il cielo... E tante altre cose che lui continuamente ci regala.

E mi è successo che anche questa volta, nella stanza dei materassi ho fatto un’altra scoperta, banale forse, ma per me interessante. Uno, infatti, può guardare David e prestare attenzione ai suoi sforzi per camminare, alle sue grida per raggiungere i suoi obiettivi, alle sue mani tese ad afferrare qualsiasi cosa che gli passa accanto... Ma stavolta io sono stato colpito dei suoi occhi. Mai li avevo visti così da vicino. E li ho scoperti completamente neri, di un nero profondissimo a tal punto da non distinguere quanto la sua pupilla si dilata davanti alla luce. Un nero profondo in cui non si riesce neppure a riflettersi. E mi sono domandato cosa vedono quegli occhi, che pensieri nascondono quegli occhi perché David non parla e tutto deve essere interpretato.

E allora uno può tentare di cogliere le immagini e le emozioni che si stampano e registrano dietro quei suoi occhi neri. E’ un gioco di fantasia, ma è soprattutto un gioco di simpatia verso questo bimbo che ci è stato donato. E’ un gioco di scoperta del suo mondo. Ci proviamo.
David – a causa della sua malattia - è quasi sempre sdraiato nel suo box e la sua percezione della realtà è quella di chi vede le cose dal fianco o dal basso in alto. I suoi occhi si incontrano ogni giorno con i disegni sul muro o sulle pareti del box o magari si perdono a scrutare il senso dei piccoli insetti incrostati nel soffitto bianco del salone o della sua stanza da letto. C’è tanta bontà e simpatia in quei disegni che sono stati pensati appositamente per lui, per cui è bello ed è giusto pensare che gli occhi neri di David registrano ogni giorno tanta bontà e tanta simpatia e la conservano dietro la profondità di quell’iride nero.

Ma ora che David riesce ad alzarsi e a reggersi da solo aggrappandosi alle pareti del box o, quando è seduto sulla seggiola a rotelle (che manovra abilmente come se fosse la sua macchina di Formula 1), ecco che – con la sua testa sollevata – incomincia a sfidare lo sguardo di chi gli sta di fronte e se lo va a cercare. Ha gli occhi alla pari, come qualsiasi bimbo, come qualsiasi persona. E appena ti guarda, le sue labbra si aprono a un sorriso e le sue mani cercano di accalappiare la persona che gli sta di fronte. I suoi occhi sono lo slancio del rapporto che lui vuole stabilire con energia e con fremito incontrollati e a volte violenti, rapporto che non può esprimere a parole ma che è evidentissimo e necessario per lui e per noi. E di nuovo, dietro il suo iride nerissimo si stampa l’amore, il bisogno di amicizia e di affetto che tutti noi nascondiamo insulsamente o riveliamo con fremito e violenza a seconda del nostro carattere.

A volte, la sera, lasciamo David seduto in seggiola a rotelle davanti al televisore. Ultimamente accetta questa nostra proposta e rimane tranquillo davanti allo schermo (tempo addietro scappava via), ma dopo un po’, piega la testa sul fianco e - mestamente e passivamente - rivolge lo sguardo nel vuoto. Si ravviva e applaude solo quando sente sottofondi musicali. Lascio ad ognuno la riflessione personale su questo interessante e intelligente atteggiamento di David.

Contempliamo spesso David rotolarsi sui tappetini del pavimento e sganasciarsi di risa.
Cosa vedranno i suoi occhi in quei momenti? Ci piace pensare che sta vedendo storie fantasiose che lui stesso si inventa e che gli piacciono da morire e che ogni volta le arricchisce di particolari gioiosi. E a David, che è un bimbo puro, piacciono tantissimo le sue storie. Solo la fantasia dei bimbi potrà ripetere la trame di queste storie.

E’ per questo che qualcuno di noi ha battezzato giustamente David come: “el barredor di tristezas”, come colui che spazza via la tristezza. Ed è proprio così.

Gli occhi neri di David sono come le galassie nere che là, nella profondità dell’universo, per un mistero inspiegabile, attirano la materia e l’assorbono e la trasformano in nuova energia di vita. Tutti abbiamo fatto l’esperienza che, dall’incontro con David, siamo attirati verso il bene e verso le cose buone e i nostri affanni o i nostri problemi si dissolvono e vengono assorbiti dal profondo dagli occhi neri di David. Allora ringraziamo David per questi tre anni condivisi, in cui lui è stato con noi senza poter dirci una parola, ma esprimendo sempre l’essenza del bene.

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