lunedì 31 dicembre 2012

Il regalo per noi sono i bimbi

Lunedì, 31 dicembre 2012

Non ci era mai successo: in pochi giorni ci sono stati affidati 15 bimbi! Un bel regalo di Natale e una bella sorpresa di fine anno! E tra l’altro questi bimbi sono molto piccoli.

Di alcuni non sappiamo il nome vero e neppure la data di nascita precisa: ci sono stati affidati con nomi convenzionali e con date di nascita approssimative. Il più piccolo ha un mese e la più grande ha 14 anni. Alcuni vengono dalla tribú degli yuquis.

Juan Sebastián, Antonela, Elizabeth, Miguel Angel, María Luisa ... Ma possiamo inventare o fantasticare insieme nomi nuovi per ciascuno di loro!

... Stasera mi sono soffermato un attimo a contemplare il volto di Sebastián mentre dormiva nella sua culla in cucina, non è una culla perché di culle non ne abbiamo a sufficienza, con tanti arrivi imprevisti, ma non so come si chiama in italiano quel porta-bimbi che si usa anche in auto. Pensavo alla sua storia e alla storia degli altri bimbi. Sono storie riassunte brevemente in una paginetta che accompagna i pochi documenti ufficiali che ci sono stati consegnati al loro arrivo. Come possiamo immaginare, storie difficili, ma non entro in dettagli tanto possiamo immaginare o forse non riusciamo nemmeno a immaginare il dramma che nasconde ognuno di questi bimbi.

Guardavo gli occhietti chiusi di Sebastián nonostante le luci accese della cucina e mi immaginavo la sua storia passata e la sua storia futura, piena di speranza e di illusioni.

Pensavo di nuovo alla casa de los niños, quella grande, sparsa nel mondo...

E’ vero quello che scrivevo l’altra volta: E il cuore ritorna a costruire storie e speranze future, con una maggior esperienza su questo bene per gli altri, soprattutto per i più e i più indifesi, che stiamo imparando a modellare tra le pareti e i mille cuori della casa de los niños.

Lascio alle foto l’espressione che accompagna il loro arrivo.

Non potremmo accogliere e sostenere concretamente questi bimbi senza la casa de los niños. Verrà il momento in cui loro stessi potranno ringraziare per il cuore aperto e per la casa aperta.

E noi, al terminare questo anno e all’inizio del nuovo, vorremmo intanto anticipare a tutti voi che ci leggete e condividete con noi la nostra avventura l’espressione di questo grazie che ci permette di tener sempre aperta la nostra casa e di non frenarci o fare calcoli davanti alla così chiamata “crisi”.

Proprio nei giorni scorsi mi scriveva al rispetto una cara amica: “Quest’anno pensavo che la crisi avrebbe frenato la generosità. Ma qualcuno mi ha detto che proprio perchè c'è crisi è meglio spendere soldi in qualcosa sicuramente apprezzato e con un nobile scopo!”

Certo, di notte dormiamo poco, e forse di giorno non siamo molto svegli, e magari non abbiamo tempo per scrivere e comunicare, ma se noi non spendessimo le nostre forze, la nostra fantasia, le nostre illusioni, i nostri sogni per questi bimbi che hanno bussato alla nostra porta, probabilmente saremmo persone tristi, affogate dalla crisi.

Natale quest’anno si è colorato di nuovi volti e l’anno nuovo si anticipa nella nostra casa con questa sfornata di bambini: che regalo migliore potremmo desiderare! Noi abbiamo passato la notte di Natale in ospedale perché il piccolo Miguel Angel ha dovuto essere ricoverato a poche ore dal suo arrivo qui a casa. La sua sorellina María Luisa è di là che dorme beata: divora ogni cosa che passa davanti ai suoi occhi. Hanno due anni e un anno rispettivamente. Ieri abbiamo saputo che la mamma ne ha 17!

Dopo la notte in ospedale, la sveglia di buon’ora per preparare la festa di Natale con la nostra grande famiglia composta di oltre mille persone. Quest’anno abbiamo chiesto a tutti un piccolo sacrificio: rinunciare ai regali per poter prepararci, in gennaio, alla costosa operazione al cuore del piccolo Osvaldo. E tutti hanno aderito con grande generosità. Anche questo un gesto che supera ogni previsione di crisi. Come dicevamo anteriormente, è una fortuna che i bimbi siano qui con noi perché ultimamente abbiamo trovato una scorciatoia legale affinché i bimbi siano affidati in breve ad una famiglia. E così, in questi pochi giorni alcuni dei bimbi hanno già spiccato il volo e un nuovo focolare si è acceso per loro e in questo periodo di festa il cuore di madri e di padri novelli sta finalmente sussultando di gioia inaspettata.

L’ultimo nostro saluto di quest’anno va a ciascuno. Voli il nostro grazie e illumini di gioia, gioia semplice e spontanea come quella dei bimbi. Continuiamo insieme la nostra avventura perché finalmente il bene faccia breccia nel cuore di tanti così come noi sperimentiamo ogni giorno di più nei nostri bimbi. Insieme a loro vi abbracciamo e vi sentiamo vicini!

Auguri di cuore!

ci siamo anche noi 
natale, c'è posto per tanti
grazie!
natale sull'altipiano
vieni che ti faccio posto

domenica 9 dicembre 2012

Ancora sul Natale che si avvicina e che ci avvicina...

Da quando è arrivato da noi, ho pensato che il piccolo Gianluca, il bimbo della tribú Yuqui che è nato 5 mesi fa nella sala dell’ospedale in cui era ricoverata la mamma gravemente ammalata, superata la fase della nascita prematura, sarebbe stato un bimbo con un futuro sereno, un bimbo sano. Pensavo, infatti, che sarebbe stata molto diversa la sorte del piccolo Gianluca, prematuro ma sano, da quella del piccolo Juan, con la sua grave e incurabile malattia cerebrale.

L’altra notte siamo stati svegliati dalla chiamata della famiglia che ci aiuta a curarlo in questo periodo. Il piccolo stava piangendo sconsolato da ore e non se ne capiva il motivo. Si pensava ad una congestione intestinale visto che sin dalle prime settimane di vita il suo intestino faticava a liberarsi. “Cosa normale, nei bimbi prematuri”, ci avevano rassicurato i pediatri: “Problema che si normalizzerà con la crescita”.

Ma in quel momento bisognava prendere una decisione e così, fuori dal letto, e in macchina verso l’ospedale pubbico, a notte fonda. Gli altri bimbi della casa sono sotto controllo, a quell’ora.

Pensiamo che forse basterà un piccolo clistere o una sondina per liberarlo dai gas intestinali. Ma, invece, non è così e quella notte si trasforma in breve in un calvario perché nei diversi ospedali verso cui di dirigiamo non ci sono le condizioni per ricevere un caso che si presenta più difficile del previsto: un blocco intestinale con necessità di un intervento chirurgico. Negli ospedali pubblici, il chirurgo purtroppo non è rintracciabile a quell’ora, e poi mancano le condizioni per preparare la sala per l’intervento: bisognerà aspettare sino al mattino. NO! Non si può aspettare. La sua pancina è come un palloncino che pronto a scoppiare da un istante all’altro!

Allora via di corsa ad un altro ospedale specializzato in malattie gastrointestinali. “Ma qui operiamo solo adulti”, ci dicono. Corriamo verso un ospedale pediatrico. Incontriamo un medico che per fortuna ci conosce e ci spiega bene la situazione: è necessario operare d’urgenza. Ma: dove? Insistiamo: noi non conosciamo chirurghi esperti in pediatria. Il medico prende la sua agenda e incomincia a chiamare per telefono. Finalmente, un medico è disposto ad intervenire subito, ma in una clinica privata.

Non importa. Alle spese ci penseremo dopo.

Il piccolo Gianluca non smette di piangere. Di corsa verso la clinica privata. Dopo mezz’ora, il bimbo è in sala operatoria. Fanno entrare uno di noi. Dal taglio aperto si vedono le viscere completamente gonfie, una parte si è arrotolata sull’altra e bisognerà reciderla. Stenosi è la diagnosi: di lì non passa niente! L’operazione dura un’ora e mezza. Siamo in pena. Gianluca ha solo 5 mesi di vita ed è già in sala operatoria. L’operazione è molto delicata, ne percepiamo la gravità e soffriamo nell’attesa e nell’incertezza.

Esce il chirurgo: tutto è andato bene. E’ stato reciso un piccolo pezzo di intestino, ma adesso il bimbo potrà ricuperarsi. Se non si fosse intervenuti subito, se avessimo aspettato sino al mattino, e non fossimo corsi da un ospedale all’altro il corpicino del piccolo Gianluca non avrebbe resistito!

Dopo tre ore vediamo il bimbo, steso in un letto grande della clinica. Ha il volto bellissimo di sempre, ma stremato per la fatica delle ore precedenti. Ricordiamo i suoi primi giorni quando aveva la sonda nel nasino per aiutarlo nell’ alimentazione. Ricordiamo le tante volte in cui con le sue manine se la staccava. Anche adesso bisogna tenerlo fermo se no si toglie tutto!

E’ pieno di tubi. Le prime ore dopo l’intervento sono critiche, ma ci affidiamo ai medici e a chi ci ha giudati in quella notte difficile.

... sono passati due giorni e il bebé sta prendendo le prime gocce di latte, sono praticamente gocce, ogni tre ore. Tutto procede normalmente ed ora il piccolo Gianluca piange, sí, ma perché ha fame, e lo si capisce. Ma il suo intestino ha ripreso a funzionare. E non è più gonfio come un palloncino. Non erano così semplici e sicure la sua vita e il suo futuro come io pensavo ingenuamente all’inizio.

Il cuore ci guida, ci guida l’affetto, e ci mette in crisi l’inesperienza. Ma ci alziamo, corriamo, bussiamo a tutte le porte con testardaggine. E cerchiamo sempre di fidarci di chi ci guida nell’imprevisto e nell’oscurità della notte.

E il cuore ritorna a costruire storie e speranze future, con una maggior esperienza su questo bene per gli altri, soprattutto per i più e i più indifesi, che stiamo imparando a modellare tra le pareti e i mille cuori della casa de los niños.

sabato 1 dicembre 2012

Non basta il cuore...

Sabato 1 dicembre 2012

Sono tanti i bambini che passano per la nostra casetta. Solo in questa settimana ne sono arrivati tre:

Roy, che ha due anni e mezzo, Camila che ha 7 anni e Alejandro che ne ha 4. Nomi, volti nuovi, storie che non conosciamo e che improvvisamente si incrociano con le nostre. La nostra casa è grande, speriamo che anche il nostro cuore lo sia, il cuore di tutti noi che viviamo qui. La nostra casa è sempre aperta, giorno e notte. C’è sempre qualcuno che ha bisogno e che bussa alle nostre porte (ne abbiamo tante!). E’ come quando ci chiedono aiuto per accogliere un bimbo.

Arriva un bimbo nuovo. Si passa la voce nella cittadella e subito appaiono volti di piccoli e grandi appiciccati alle finestre della nostra casa. “Possiamo tenere noi Roy questo fine settimana?”. “C’è posto per Alejandro nella nostra casa!”. Le nostre famiglie sono povere, ma hanno il cuore grande! E Roy è già fuori che gioca con altri bimbi e sperimenta l’abbraccio di una mamma che non aveva mai conosciuto. E Alejandro ci saluta un attimo ma subito scappa via, con i suoi nuovi fratellini che hanno sulle spalle una malattia grave come la sua...

L’altro giorno mi trovavo negli uffici dei Servizi Sociali per sbrigare delle pratiche e in quel momento è arrivata una bimba appena nata in braccio ad un’assistente dell’ospedale. Un poliziotto l’aveva poco prima trovata dentro un borsone grigio da viaggio all’angolo di una strada. Dentro la borsa, un bigliettino: “Non ce la faccio, aiutatemi!”. Forse il grido disperato di una giovane mamma... Sul petto della bimba, un rosario bianco. Una bimba bellissima abbandonata per strada... “Si chiamerà Rosario!”, dicono le incaricate dei Servizi Sociali. Anch’io ho casualmente in mano un piccolo rosario, in quel momento, e dò la mia disponibilità per ricevere quella creatura nella nostra casa, ma poco dopo verrà affidata ad un altro centro. Ci vorranno 8 mesi prima che sia data in adozione, purtroppo..., ma le pratiche burocratiche di affido richiedono questi tempi.

Passano due giorni e ci chiamano perché 4 dei nostri amici che vivono in strada sono stati presi dalla polizia con l’accusa di aver rubato un cellulare ad una signora nel centro della città.

Andiamo al posto di polizia. Parlo con i poliziotti: non c’è niente da fare. Quei 4 ragazzi, anche se sono minorenni dovranno essere sottoposti ad un processo rapido e rischiano il carcere: sono stati colti in flagrante. E per di più, la signora a cui è stato sottratto il cellulare è la moglie di un tenente di polizia: che coincidenza sfortunata! I ragazzi si dichiarano innocenti, questa volta, e forse hanno ragione loro, questa volta.

Rimaniamo negli uffici per un bel po’ di tempo, senza saper come fare. Ho con me dei soldi per poter comprare delle medicine urgenti e care. Offro quei soldi per comprare il cellulare nuovo e restituirlo alla signora. La proposta viene accettata. I 4 ragazzi riceveranno una bella romanzina ma dopo qualche ora saranno rimessi in libertà.

Mi metto a parlare con il poliziotto a carico dell’inchiesta. Racconto quello che facciamo. Lui mi dice che due giorni prima ha raccolto per strada una bimba appena nata, nascosta dentro una borsa da viaggio grigia. E come subito l’ha portata in ospedale per un controllo medico.

“Ho conosciuto casualmente quella neonata”, gli dico. Che coincidenza... Il poliziotto mi chiede il numero di telefono del nostro centro: non è la prima volta che deve affrontare il caso di neonati abbandonati. La prossima volta chiamerà direttamente noi, noi che abbiamo 78 famiglie nel nostro centro: Rosario non avrebbe dovuto mai aspettare 8 mesi prima di poter essere accolta in una famiglia, se ci fosse stata affidata...

Le nostre famiglie sono povere, ma hanno il cuore grande. E’ un po’ questo il segreto che sta cominciando a “fermentare” nella nostra cittadella.

In questi giorni un amico mi ha inviato una frase estratta dal libro di uno scrittore argentino:
“Poco dopo arrivammo alla casetta di Zimmer, il falegname, durante trentasei anni vi aveva vissuto quel pazzo stralunato di Hölderlin, protetto affettuosamente da quel umile essere umano; uno di quei gesti assoluti che redimono l’umanità."
La nostra umile casetta vorrebbe incastonarsi di gesti assoluti nella disponibilità e apertura per accogliere sempre chi vi arriva, chi chiama o chi bussa alle notre porte. Ma in questi giorni è risuonato spesso dentro di me che non basta il cuore, non basta l’affetto. L’ho pensato anche quando ho visto quel rosario bianco sul petto della bimba abbandonata. Sono troppe le storie difficili che si incrociano con le nostre.

E allora io credo che ci voglia un supplemento del cuore. Per me quel di più si chiama preghiera.

mercoledì 10 ottobre 2012

sabato 20 ottobre, serata di beneficenza

I nostri amici di Leguigno organizzano una bellissima serata con polenta ecc. ecc..a favore della nostra Associazione, inutile dire che più siamo e più bella sarà la serata quindi aspettiamo le vostre prenotazioni ....... forza!!!!!!!!!!!!

domenica 7 ottobre 2012

Sono fortunati, i nostri bimbi!

Nei giorni scorsi sono stato di nuovo a trovare il piccolo M. figlio di C., la mamma di cui ho parlato nell’aggiornamento del 16 maggio scorso, sulle rime della canzone: “Che dolceza ne la voze de me mama”. Sono stato nel centro dove lui è accolto da oltre 10 anni. Stava uscendo da scuola e ci siamo salutati un attimo. E’ facile riconoscerlo tra tutti per quei suoi caratteristici capelli rossi.

Mi viene sempre incontro con un gran sorriso, nonostante la sua timidezza. Questa volta c’era con lui un amichetto della scuola, A. Comincia il nostro breve dialogo: “Sai, M., finalmente sono riuscito a portare alcune foto tue a tua madre. Da tanto tempo me le aveva chieste e finalmente gliele ho fatte avere. Era molto contenta! Si è commossa.”

“Ed io potrò avere una foto sua? Io non la conosco... Lei non è mai venuta a trovarmi. Mi hanno detto che fa un lavoro che la tiene occupata sempre e che non le danno il permesso per venire qui.”

La domanda di M. mi prende di sorpresa.

“Non so se potrò portarti una foto di tua madre. Devi chiedere il permesso ai responsabili della tua casetta. Se loro sono contenti, io te la porto di sicuro!Ma, dimmi: in quanti siete in casa, in questo momento?”

Il centro dove vive M. si compone di una decina di casette-famiglia in cui i bambini sono accolti a seconda dell’età e sono curati da una famiglia o da una mamma sola. “Siamo in diciannove, contando la mamma, il papà e i loro due figli.”

Si tratta di un centro molto bello, che funziona da tanti anni e che si chiama con un nome simile al nostro: “Ciudad del niño”, ed è sostenuto dalla Diocesi di Bergamo. Lì sono ospitati e curati circa 130 bambini che vi rimangono sino ai 18 anni.

Ne approfitto per fare qualche domanda anche ad A. l’amico di M.

“E tu, ce hai la mamma?”
“Certo!”
“Dove vive?”
“Nel Chapare, nella zona tropicale.”
“Come si chiama?”
Si fa silenzio...
“Non lo so...”
“Ma sai almeno in che paesino vive?”
Di nuovo silenzio. “Non lo so...”
“Da quando sei qui?”
“Da quando è arrivato anche M.”
“Sei qui da solo o hai qualche fratellino?”
“C’è anche una mia sorella più grande, qui.”
“Bene, così vi fate compagnia. Sai, devi chiedere a tua sorella se si ricorda il nome del paese dove siete nati ed io ti prometto che vado a cercare tua madre e ti porto una foto sua. Sei contento?”
“Sí!”
“Bene, allora rimaniamo d’accordo così. Torno a trovarvi la prossima settimana. Fate i bravi e studiate.”
“Ciao!!!”

Un abbraccio e via di nuovo a casa, questa volta con un nodo in gola. M., A. e sua sorella non usciranno da quel centro che li accoglie con tanto affetto, ma non è la loro famiglia... Dovranno aspettare sino ai 18 anni per uscire... Non conoscono quasi niente della loro storia.

Non hanno mai visto la loro mamma e non sappiamo se avranno il permesso di vedere almeno le foto delle loro mamme. Certo, c’è chi li accoglie e li cura con amore, che non gli fa mancare niente, ma alla loro età non potranno mai essere adottati o essere affidati ad una famiglia. E poi non credo che sia facile vivere in 19 in una casetta... Altri 130 bambini vivono la stessa situazione nella “Ciudad del niño”. Certo, peggio sarebbe essere totalmente abbandonati, o venduti, o...

Ho fatto i conti: nella “Casa de los niños” e nella “Cittadella arcobaleno” vivono attualmente 173 bambini. Di questi bambini, 168 vivono in una famiglia, la propria o una famiglia di appoggio. Non sono le migliori famiglie del mondo, anzi, sono famiglie con tanti problemi, con tante storie difficili alle spalle che marcano il carattere dei figli.

Ma quasi tutti i nostri bimbi possono abbracciare ogni sera ed ogni mattina i loro genitori e non hanno bisogno di una foto per riconoscerli. E non dovranno aspettare sino ai 18 anni per andare alla ricerca della loro storia.

Sono fortunati, i nostri bimbi!

... scrivevamo un mese fa:

La casa de los niños è uno spazio di intensa condivisione con bambini che hanno vissuto e che vivono condizioni di profonda debolezza. Si vive per loro e con loro durante le 24 ore del giorno.

Si fa tutto gratuitamente, sulla base della libera responsabilità e del forte impegno personale. Non c’è nessun obbligo! C’è una sola regola: quella di amare sempre, fino al limite delle proprie forze.

Sono sempre pochi i bimbi nella casa proprio perché ognuno richiede una cura e un’attenzione speciale e totale.

Cerchiamo di non farci prendere dai sentimentalismi per poter aprire insieme il cuore e la mente alla scoperta del bene più profondo e più vero per ognuno dei nostri bambini, non solo per i più carini.

Ci ripetiamo spesso che i nostri bimbi devono fermarsi per poco tempo nella nostra casa. Noi ci prendiamo l’impegno di accompagnarli verso una sistemazione che dovrebbe essere la migliore possibile. L’immagine che riflette la nostra esperienza è quella del prendere per mano un bambino ed avviarsi insieme su un percorso comune. In quelle mani che si stringono passa il calore della vita e la linfa del destino comune. Ma noi abbiamo la fortuna che le nostre mani sono tante e quindi c’è una forza grande che ci unisce con i bambini. Quando ci sono le condizioni, la cosa migliore è la reinserzione dei bimbi nella propria famiglia di origine. In altre condizioni, cerchiamo famiglie di appoggio e famiglie o persone disponibili per l’adozione. Il nostro agire va anche in questa direzione, quella di creare atteggiamenti di simpatia verso ognuno dei nostri bimbi in tutti quelli che regolarmente o sporadicamente vengono a trovarci.

Noi amiamo profondamente ognuno dei nostri bambini. Ci affezioniamo profondamente a ognuno di loro, senza nascondere, magari, qualche preferenza. E’ chiaro, però, che ognuno deve ricevere con intelligenza le stesse premure e lo stesso riguardo.

Dobbiamo sognare per ognuno dei nostri bimbi il momento del distacco, il momento, cioè, in cui sono date le condizioni per il loro “prendere il largo dalla casa”. Deve venire questo momento!

E’ quasi paradossale: più ci affezioniamo ai bimbi, più impariamo a desiderare per loro una famiglia all’esterno della casa de los niños.

Quando un bimbo si stacca dalle nostre mani, si sperimenta un grande vuoto nella casa (ed anche nel nostro cuore!). Ma solo grazie a quel vuoto la casa può attirare a sé un’altra esperienza di debolezza .

Riassumiamo e ripetiamo: noi crediamo, per l’esperienza fatta sinora, che il vivere nella casa de los niños, il condividere un pezzo della nostra storia con loro ci apre al contatto con tanti bimbi e prepara il nostro cuore al momento difficile del distacco.

E’ questo che dobbiamo desiderare per ognuno di loro per poter rinnovare continuamente l’esperienza della casa de los niños, esperienza di apertura e di condivisione del dolore e della debolezza dei piccoli, ma anche di raccolta nel cuore di ognuno di noi del tesoro e dei frutti preziosi dell’amore che abbiamo condiviso.

La casa de los niños è come un cuore che palpita senza sosta e che spinge il sangue purificato fuori da sé.

Impariamo ad amare profondamente ogni bimbo per poter sognare per ogni bimbo una famiglia che l’ami profondamente come noi e certamente più di noi.

... ed è così che nei giorni scorsi hanno “preso il largo” Mariano, Arisito, Dennis, Gianluca e la sorellina Karen.

Durante i fine settimana, Jacky, Juancito e Mateito si trasferiscono presso famiglie della nostra cittadella. Probabilmente, presto, tutti e tre saranno adottati da quelle stesse famiglie. Lo stesso varrà per Nicol appena torna dal Brasile. Un passo importante di maturità e responsabilità per le nostre famiglie, sempre tanto sofferte, in certi aspetti della loro storia.

Ringraziamo per loro la casa de los niños, questa casa de los niños che ha un’anima che è sparsa in tanti piccoli angoli del mondo!

La nostra casa si riempie e si svuota, proprio come il cuore. Ripeto: è duro veder partire i nostri bimbi, è difficile staccarsi da loro. Ma solo così palpita la vita.

venerdì 14 settembre 2012

Le beatitudini e la casa de los niños

Le beatitudini e la casa de los niños
« Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
(Matteo 5)

« Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.
(Luca 6)

Devo dire che in questi giorni mi ha impressionato riascoltare il testo delle beatitudini, soprattutto il testo di Luca, mettendolo in relazione con l’esperienza che viviamo nella nostra casa. E ho sottolineato apposta le tre beatitudini riportate da Luca. Confesso che in questo periodo mi risulta difficile pensare che Gesù abbia pronunciato quelle parole. Ho cercato di capirle alla lettera, ma sorgono in me tanti dubbi e interrogativi.

... Sono stato all’ospedale anche oggi a fare una visita ai malati. Ho rivisto Cristian, un ragazzo di 14 anni che ci vorrebbero affidare. Pesa una decina di chili, pelle ed ossa. Non fa nessun movimento, sempre prostrato nel suo lettino o adagiato su un materassino per la fisioterapia. Non mangia da solo, si lamenta sempre. Conosco il suo papà che non ha più il coraggio di visitarlo e che ci ha chiesto aiuto. La mamma è morta l’anno scorso per una grave malattia.

... Ripenso anche alla piccola Lorena Arias, appena nata. Qualche mese fa era nell’ incubatrice di fianco a quella del nostro piccolo Gianluca. Lì l’abbiamo conosciuta. Aveva un volto con due nasi, due bocche, due fronti, ... non era siamese. Per la pena e il rispetto, le infermiere le coprivano il volto con un lenzuolino. Dopo una settimana di sofferenza è morta. Noi, comunque, ci eravamo offerti di portarla nella nostra casa.

... Ripenso anche al nostro piccolo Juan, che ora ha sei mesi, e che piange così tanto per il suo dolore. Non sappiamo se piange per la pressione sul suo cervello malato o per il ricordo di quel giorno in cui le mani di sua madre si staccarono dal suo corpo e lo deposero di fianco a un cassone di rifiuti. Il piccolo Gesù fu deposto in una mangiatoia; il piccolo Juan fu deposto dietro un cassone di rifiuti.

... Ripenso al piccolo Gianluca, che ora ha tre mesi, e che piange come un forsennato perché ha fame, lui che è così piccolo e debole e non si sazia mai.

... Ripenso a tanti dei nostri bimbi, soprattutto quelli dell’altipiano, che vivono una povertà assoluta e nascosta che neanche possiamo immaginare, noi occidentali, nutrendosi praticamente di patate ogni santo giorno dell’anno.

... E allora risuonano di nuovo nella mia mente quelle parole conosciute di Luca: Beati voi poveri.... Beati voi che ora avete fame.... Beati voi che ora piangete....

E rivedo di nuovo nella mia mente i volti conosciuti di Cristian, di Lorena, dei piccoli Juan e Gianluca, e quelli degli altri nostri bimbi, degli infiniti bimbi come loro, degli infiniti deboli del mondo, di tutte le epoche, di tutte le latitudini...

E ripenso anche a Gesù, quel uomo che girava instancabilmente per tutti i villaggi del suo Paese e si commuoveva per i poveri e per gli ammalati, per i deboli e per i bambini. Che dava da mangiare e che ridonava la salute e la vita a tanti, anche se non a tutti!

Ma poi mi viene da pensare che non era lui che faceva i miracoli. Gesù lo dice chiaramente quando ridà la vita all’ amico Lazzaro: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto”.

Gesù che vuole bene ai poveri, ai bambini, ai malati, che si preoccupa per chi ha fame, non può aver pronunciato quelle parole così come sono riportate da Luca. Lui che si è preoccupato concretamente del presente dei poveri e dei deboli, non può rimandare ingenuamente a una felicità futura per loro. Non mi sembra cristiano! Io non credo che nè per Gesù, nè per noi, Cristian, Lorena, i piccoli Juan e Gianluca, e gli altri nostri e non nostri bimbi poveri ed affamati del mondo possano essere ingenuamente chiamati beati. Non lo sono per niente e se potessero parlare ce lo direbbero chiaramente.

C’è qualcosa che non quadra.

Forse in quelle parole sta nascosto il dramma dell’impotenza storica di Gesù, e credo che ci stia dentro anche la nostra impotenza storica: di quel Gesù calato nella storia, e di noi che siamo calati nel nostro presente storico e che vediamo e che tocchiamo con mano ogni giorno la debolezza, il dolore, la fame, la malattia, e che magari ci commuoviamo sinceramente e profondamente, ma che non possiamo fare quasi niente per chi soffre accanto a noi. La stessa cosa sarà successa anche a Gesù, perché lui è uguale a noi, oserei dire che lui ha il nostro stesso cuore. La differenza tra noi e lui è che lui spesso sapeva catturare e guadagnarsi l’ascolto del Padre. E allora scattavano i miracoli. Davanti alla sofferenza storica, soprattutto dei più deboli, ci si sente totalmente impotenti.

Forse la beatitudine è per noi, la beatitudine di aver incontrato lungo la nostra storia Cristian, Lorena, i piccoli Juan e Gianluca, e gli altri nostri bimbi poveri ed affamati. Noi che abbiamo ogni giorno questa possibilità di camminare per i villaggi del dolore e possiamo riaccendere la commozione nel nostro cuore e possiamo soprattutto provare umilmente a spendere attimi della nostra vita per Cristian, per Lorena, per i piccoli Juan e Gianluca, e per gli altri nostri bimbi poveri ed affamati.

Gesù avrà detto, forse: “Io che sto bene, scelgo di stare con voi, accanto a voi che siete poveri, affamati ed ammalati, scelgo di lottare per voi, di consumarmi per voi, scelgo di volervi bene: accettatemi!”.

Forse la beatitudine sta nel comunicare questa scelta di vita, sta in questa possibilità che abbiamo tutti di uscire da noi stessi, se lo vogliamo. Credo che solo allora riusciremo insieme a catturare e guadagnarci l’ascolto del Padre. E allora forse sí scatteranno anche accanto a noi i miracoli.

La casa de los niños, come tante altre storie belle che conosciamo o infinite altre che non conosciamo, vuole aprire a tanti la possibilità di un cammino da percorrere in questa direzione.

Proprio in questi giorni vediamo con commozione e gioia l’impegno di alcune famiglie della nostra cittadella che stanno curando tutti i bimbi della nostra cosa, per aiutarci a riposare, per sentirsi responsabili con noi del presente difficile di questi bimbi. E’ una cosa bella! E’ un segno positivo di questo cammino che abbiamo cercato di intraprendere insieme, con libertà, con sforzo e con generosità.

Ma sempre in questo momento ascoltiamo anche notizie tragiche dal mondo: terribili scontri, divisioni, violenze e morti per offese religiose.

Tutto questo ci fa pensare che forse c’è bisogno di scoprire un’altra direzione verso cui canalizzare l’energia positiva dell’umanità e forse è proprio quella la direzione della beatitudine, dove possono risuonare anche oggi, con il loro significato profondo, le parole misteriose di Luca, parole misteriose di incontro e di unione per noi uomini e donne deboli:

Beati voi poveri.... Beati voi che ora avete fame.... Beati voi che ora piangete....:

“Il nostro respiro sia per comunicarvi che siamo con voi, che vi vogliamo bene”.

Parole misteriose che prima o poi riusciranno ad illuminare orizzonti di pace, di sapienza, di sensatezza, di comunione: l’orizzonte ben desiderato della fraternità.

domenica 2 settembre 2012

3 settembre, Nicol viaggia

Domenica 2 settembre 2012

Volevo farvi sapere che domani mattina, lunedì, parte la nostra piccola Nicol, di tre anni, con sindrome Down, per essere operata al cuore a San Paolo, in Brasile. Da tempo eravamo in preparativi per poter realizzare questo importante e necessario intervento per la bimba. Finalmente tutte le condizioni si sono rese favorevoli e Nicol può partire.

Siamo fortunati perché in Brasile c’è l’amico Fabiano, medico, che si incaricherà di tutti i particolari della permanenza e del ricovero in ospedale. Nicol non andrà sola. Ci sarà con lei anche un’altra bimba, di un anno, con una grave deformazione al cuore. La bimba si chiama Kelly e i genitori si sono avvicinati a noi qualche mese fa per chiedere aiuto perché in Bolivia, certo, ci sono i medici e gli ospedali che possono realizzare interventi delicati al cuore, ma sono troppo cari e quasi nessuno se li può permettere. Il costo dei due interventi, in Boliva, sarebbe stato di circa 15.000 €. Una cifra assurda e irreperibile per qualsiasi famiglia. Le Suore della Congregazione di Suor Cherubina, questa Suora amica che tanti conoscono, presteranno loro l’alloggio. I medici dell’ospedale pubblico di San Paolo realizzaranno gratuitamente gli interventi. La mamma di Kelly e la nostra Marcela accompagneranno in questo viaggio le due bimbe. Stimiamo che dovranno fermarsi per almeno un mese in Brasile. I medici ci hanno tranquillizzati anche se si tratta di interventi molto delicati.

La compagnia aerea boliviana, BOA, ci sta aiutando parzialmente con i biglietti; ma, nel fondo, tutto questo è possibile grazie alla collaborazione e all’appoggio di tutti. Allora viviamo insieme, con fiducia, questi momenti di forte apprensione e ci affidiamo all’amicizia che ci unisce.

Per quanto riguarda gli altri bimbi della casa, oggi si festeggia in Bolivia un giorno imporante per loro, il giorno “del diritto dei bambini ad avere una famiglia”. Noi siamo tra i promotori di questa iniziativa che è stata accolta a livello nazionale con una legge apposita che noi abbiamo redatto. Tutti noi crediamo fortemente che ogni bimbo abbia diritto a vivere in una famiglia e ci sforziamo per creare le condizioni di questo diritto, ed è per questo che esiste il nostro centro dove quasi tutti i bimbi vivono in una famiglia.

Per gli altri, che sono 10 in questo momento perché –come abbiamo scritto recentemente- è arrivata anche la sorellina di Gianluca, ci stiamo muovendo per trovare una famiglia che li accolga. Nei mesi scorsi abbiamo insistito su questo tema con tante famiglie amiche. Il risultato è che nei prossimi giorni vari bimbi lasceranno la nostra casa. Ben 14 famiglie si sono mostrate disponibili per accogliere i nostri bimbi, anche quelli più ammalati! Si tratta di un segno positivo che vale la pena sottolineare e comunicare.

Allora rimarremo senza bimbi!? Allora non avrà più senso che si chiami Casa de los niños!?

A dire il vero la nostra intenzione è quella di accogliere altri bimbi, soprattutto alcuni di quelli che vivono in un centro dello Stato, qui a Cochabamba, e ci vivono in condizioni pietose.

Vorremmo lanciare la campagna delle culle, per poterli accogliere bene! E la campagna per una nuova casetta, tutta in legno, calda e accogliente, pensata appositamente per questi bambini che difficilmente potranno alzarsi da una culla. Ci piacerebbe che tutte le famiglie che vivono con noi ci dessero una mano per poter accogliere bene e curare bene questi bimbi, e per costruire questa nuova casetta tutta per loro.

Ci piacerebbe che anche tutti i bimbi che vivono nella nostra cittadella, e che sono circa 150, sentissero la responsabilità e la gioia di essere fratelli e sorelle di questi bimbi meno fortunati di loro.

Vedremo...

Intanto accompagniamo la piccola e simpatica Nicol! E le facciamo tanti auguri!

giovedì 30 agosto 2012

Per Sandra!

Un anno fa se ne andava improvvisamente al cielo Sandra...

Lei, per prima, dalla nostra comunità, che ci lasciava. Stasera l’abbiamo ricordata con una messa nella cappella nuova, finalmente terminata, della cittadella. Un ambiente molto bello,preparato con cura da parte di tutti. Sul fondo, le foto di tanti nostri che l’hanno preceduta in cielo. Cornici di fiori freschi alle pareti.

I bambini della cittadella, inquieti, si erano riuniti lì nel pomeriggio, all’uscita della scuola, per pregare per Sandra, mentre si stavano ultimando i lavori. Il tetto della cappella, fatta di legno e pietre, lascia appositamente intravedere il cielo. E così stasera abbiamo goduto dello splendore della luna piena.

Elementi della natura e della vita che abbiamo cercato di mettere insieme in questo spazio comune e aperto della cittadella. Abbiamo la pretesa, inoltre, che la cappellina possa dischiudere a tanti la storia sottesa nel sogno della casa de los niños.

Nella cappella ci stanno, strette strette, 120 persone sedute, ma è fatta in modo che ce ne possano stare anche tante altre fuori.

Mi colpiva stasera la presenza di molti bimbi piccoli in braccio alle mamme. Ne sono arrivati circa una decina,quest’anno, e ne siamo in attesa di altrettanti. Adesso che non c’è più posto per case nuove nella cittadella, si cresce con nuovi arrivi. Sandra è madre spirituale per tutti noi.

E’ così che intuiamo la sua vita, ed è così che intuiamo come cresce lo spirito della cittadella: con il dono della vita, del consumarsi per gli altri. I volti di questi bimbi appena nati, insieme ai volti dei bimbi che hanno spiccato volo al cielo costituiscono l’arco di speranza, di vita e di mistero in cui ci muoviamo. Torniamo a ripeterlo: sono,infatti, i bimbi l’energia di questa esperienza originale che porta proprio il nome di “casa de los niños”.

Stasera, in questa cornice di preghiera, di bellezza, di ricordo, ed anche di fatica e di sforzo, ho scoperto che la cittadella è madre.

Ed è così che stanotte è arrivata da noi la piccola Karen. Ha un anno e mezzo. La mamma della tribù degli Yuqui, gravemente ammalata, ha voluto che venisse a vivere qui con noi, trasferendola da un altro centro dove era ricoverata per denutrizione, trasferita qui con noi per condividere la sorte del suo fratellino di 2 mesi, Gianluca che ora ci sembra un gigante rispetto ai primi giorni dal suo arrivo. Karen è una bimba bellissima, come del resto il suo fratellino, adesso, certo, che si è ricuperato dalla sua nascita prematura.

Oggi Karen ha passeggiato per quasi tutte le braccia della cittadella, credo. Ed è un po’ spaesata. Vedremo se riuscirà a dormire. Ma oggi inizia per lei il suo frammento di storia nella casa de los niños. E’ un frammento perché i nostri bimbi prima o poi ritornano in famiglia. Noi vogliamo essere solo un ponte.

Allora ci affidiamo in questo cammino e in questo sogno proprio a Sandra perché anche lei ha voluto essere madre di una delle nostre bimbe più amate: Evita. Ripetiamo: Evita è una bimba amatissima perché la sua storia è stata marcata da una incredibile sofferenza.

Ma questo ci fa pensare che i nostri bimbi hanno una forza incredibile proprio perché forgiati dal dolore. Ed è così che ora ci sorprende Evita col suo volto sempre sorridente, proprio quel volto che noi conoscemmo 5 anni fa piagato dal rifiuto.

Sandra è ancor più mamma dal cielo.

venerdì 27 luglio 2012

LA NOSTRA RESPONSABILITA' VERSO L'ALTRO

Cochabamba (Bolivia) – Roteglia (Italia)

L'idea è che la nostra responsabilità come esseri umani sia nel concetto di costruzione reciproca.

La cooperazione internazionale è, o meglio dovrebbe essere, costruzione di identità. La metafora che meglio rappresenta questo movimento è l'acqua. L'acqua di un ruscello che nasce in montagna e scendendo incontra altri corsi d'acqua che si uniscono e percorrono un sentiero comune. Il torrente cresce fino a diventare fiume, ed è così che si vive l'esperienza della Casa de Los Ninos, associazione italiana e fondazione boliviana, nata a Roteglia e a Cochabamba dall'incontro di energie, che come l'acqua dei torrenti, che scendono dalla montagna, si sono unite e da anni stanno condividendo questa straordinaria esperienza di crescita reciproca. Comunità, famiglie, tanti bambini, che continuano a credere che nell'incontro ci sia l'opportunità di costruzione reciproca con quanto c'è a disposizione, un movimento che nasce dall'ascolto dell'altro, della storia dell'altro, decidendo di vivere anche la sua esperienza e cercando di creare lo spazio necessario perché questa esperienza si esprima e cresca, facendola durare.

Tutto questo, alla cittadella "Arco Iris" della Casa de los Ninos le 70 famiglie, le circa 400 persone che vivono questa esperienza, lo sanno, e il dolore e l’eco del recente terremoto in Italia che ha colpito duramente tante famiglie, tante Comunità, è arrivato sino a Cochabamba. La risposta che ci è ritornata, è che ora la priorità è il sostegno a questa difficile situazione che si vive in Italia nei luoghi colpiti dal sisma, e quindi la decisione di inviare un contributo economico di 90.000 boliviani, (10.000 Euro). Forse una piccola somma in Italia, ma in Bolivia era il budget programmato per il sostegno delle attività fino alla fine dell’anno, delle 400 persone che vivono nel villaggio dell’associazione. Dalla fondazione Casa de los ninos a Cochabamba, all'associazione Casa de los ninos a Roteglia, fino al paese di San Felice sul Panaro, a sostegno delle attività del centro estivo per i piccoli.

Avere a cuore il prossimo, chiunque esso sia, che tu lo conosca o no: un movimento che rende visibile lo spostamento di quell'energia che nasce nell'incontro e nella condivisione sincera e reciproca delle esperienze, a Cochabamba al villaggio Arco Iris, come a Roteglia, Reggio Emilia e nei luoghi colpiti dal sisma.

I bambini, le famiglie e tutti/e della Casa de Los Ninos

venerdì 20 luglio 2012

bimbi ed altro

in questi giorni scrivo poco perché siamo sempre con tanti cose nuove in casa.

Ci è stato affidato un bebè di tre settimane perché la mamma vive qui con noi, è la sorella di Ramona (Giovanna). Il bimbo è nato prematuro e pesa un chilo e mezzo e prende latte solo con la sondina. E' bravo e dorme sempre: ma con due bimbi così piccoli in casa non c'è molto tempo per poter riposare.

Ieri, comunque, su richiesta della mamma, abbiamo battezzato il bimbino che si chiama, sempre per volontà della madre: Gianluca!

E i padrini sono stati Ilaria e Matteo. Tutto in Italia! La mamma che ha 23 anni sta molto male per problemi ai polmoni. Oggi l'abbiamo mandata al suo paese perché lei vuole così. Adesso Matteo è da quelle parti con la speranza di poter trovare una sistemazione per lei in qualche ospedale del posto. Non ci sono molte possibilità per lei e il bimbo rimarrà con noi sempre per volontà della madre. E' piccolissimo, noi non abbiamo mai avuto un bimbo così piccolo.

Oggi è tornato a casa il piccolo Mateo che si è ripreso miracolosamente anche se il suo futuro è incerto.

Noi ce la facciamo a dormire un po' ma vale la pena portare avanti la speranza anche per questi bimbi che qui sono voluti bene!

mercoledì 18 luglio 2012

il grande fiume

Da giorni sto cercando di scrivere qualcosa... ma il tempo è poco... e la mente non è proprio sveglia: con tanti bimbi piccoli!!! Ci sono anche alcune foto. C'è tanta storia dietro queste foto! E tanta speranza!

Il grande fiume

Tutti quelli che sono stati qui da noi conoscono il fiume che porta dalla tribù degli Yuqui, il fiume Cimoré. A dire il vero, non si tratta di un grande fiume, come accennato nel titolo . E’ un modesto fiume tropicale che aumenta la sua capacità solo nei periodi di forti piogge. E’ un fiume che ha sempre il colore del fango perché ad ogni sua svolta ruba la limosa e fertile terra coltivabile delle rive. Tante volte siamo scesi su quel fiume per raggiungere il villaggio di Bia Recuaté. Per la traversata si usa una canoa a motore, lunga 8-10 metri, scavata nel tronco di alberi dai nomi suggestivi. Bisogna fidarsi di esperti piloti per riuscire a mantenere in equilibrio un mezzo così rudimentale e destreggiarsi tra i tronchi e i rami che il fiume trascina con sè.

La prima volta che scendemmo al villaggio fu il 9 gennaio del 2005 quando, con lo strazio nel cuore, riportammo a casa il corpo senza vita del piccolo David, stroncato da malattie tropicali nell’ospedale di Santa Cruz. Fu l’unica volta che scendemmo a remi e per l’intero percorso il fiume risuonò del mesto e ininterrotto lamento di Rebeca, la mamma adottiva di David.

Normalmente, si impiegano trenta cinque minuti per la discesa e più del doppio per la risalita fino al punto in cui si lascia la macchina. E’ un viaggio che ogni volta lascia profonde impressioni in ognuno, infatti, il tempo della traversata, immobili sulla precaria canoa, scioglie lo scorrere dei pensieri mentre lo sguardo spazia dalle sponde del fiume, al cielo e agli orizzonti sull’acqua.

Trattandosi di un fiume tropicale, ci si aspetta sempre qualche sorpresa come quella volta che una piccola tigre l’attraversò pochi metri davanti a noi. O come quando la gente del posto ci mostrò vari esemplari di coccodrilli bebè da poco catturati. L’ultima volta il nostro traghettatore spense il motore della canoa per aiutarci a scoprire le piccole scimmie che sulla riva si spostavano da un albero all’altro al suono di originali squittii. Ma non è sempre così. Normalmente, sono le farfalle dai mille colori le protagoniste e accompagnatrici del viaggio sul fiume, insieme al canto degli uccelli. E poi il fiume è ricco di una grande varietà di pesci, alcuni davvero enormi, che permettono il sostento delle tribù distribuite lungo il suo corso.

L’acqua scorre lentamente accanto a noi... Non sappiamo da dove sorge e dove si dirige: in quale fiume convergerà più a valle? E quanto tempo le occorrerà per arrivare sino all’oceano? Dalla canoa allunghiamo la mano per cogliere il segreto di quell’acqua color fango. Ma ovviamente ci sfugge e riprende il suo corso. Quella goccia risucchiata dalla canoa: quando avrà iniziato a formarsi? Ora si è persa nell’insieme dell’acqua del fiume. Ma non torna indietro. Seguendo le ferree leggi della chimica e della fisica, dà come la mano -sopra, sotto, avanti e indietro, a destra e a sinistra-, alle infinite gocce che come lei formano il grande fiume, dalla sorgente sino alla foce. Il fiume si ricrea costantemente grazie alla sua sorgente e grazie alle nubi del cielo. Ma arriva il momento in cui si perderà definitivamente. Ora è quella “ingenua stretta di mano” che lo tiene insieme. L’acqua del fiume non è mai la stessa, si mescola e si rimescola, ma il fiume è proprio se stesso proprio grazie a questo perdersi-ricrearsi. Nello scorrere del grande fiume: chi meno protagnista di quella anonima goccia persa nell’insieme?Chi più protagonista di quelle gocce infinite d’acqua che sono l’essenza, l’anima del grande fiume?

La nostra visita al villaggio è sempre breve: siamo lontani da casa e bisogna rientrare prima che si faccia troppo tardi. Non c’è bisogno di portare niente in tanta miseria umana. Difatti, bisognerebbe portare tutto l’immaginabile. Comunque, spesso portiamo latte e medicine. Ma gli sguardi si incontrano con simpatia. Tanti bimbi. Difficile riconoscere ognuno perché i tratti somatici si ripetono. Andiamo fin là non come turisti o come salvatori. Ci muoviamo fin là come quella piccola goccia del fiume, per continuare a darci la mano a scorrere insieme, fin dove non si sa, perdendoci e ricreandoci nella conoscenza mutua e nel desiderio di amicizia. Dopo David che, pur piccolo, ci chiese un favore: “Non abbandonate la mia tribù!”, accogliemmo nella nostra casa Marianita. Aveva solo 9 mesi e la tubercolosi aveva stremato le sue forze. Ora ha 8 anni. Sta benissimo! La nostra storia con gli Yuqui non è stata né programmata né forzata. E’ comunque una storia velata dal fango di tanto dolore. Ed è così anche adesso. L’incontro con gli Yuqui, infatti, in queste ultime settimane ci ha stretti a Betania e al suo minuscolo figlio, battezzato qualche giorno fa con il nome scelto proprio da lei: Gianluca! In onore del nostro Gianluca! E per completare l’opera e la riconoscenza, la mamma ha voluto come madrina Ilaria e come padrino Matteo, due dei ragazzi italiani che sono qui con noi e che più le sono stati vicini nelle sue notti di angoscia.

Bello! Una volontà molto significativa!

La mamma, affetta da fibrosi polmonare, ha anche espresso il desiderio che il suo bambino rimanga qui con noi, che noi lo curiamo e che noi lo facciamo crescere. Betania ha perso 20 chili in pochi mesi. Abbiamo una sua foto di qualche anno fa quando stava bene...

Il bebè, che ora ha un mese di vita, pesava un chilo e mezzo alla nascita, ma da quando è uscito dall’ospedale ha raggiunto quota 1800 gr.! Bravo! Non è nato in sala parto, ma nel letto di degenza della mamma, quasi senza che i medici di turno se ne rendessero conto perché era notte inoltrata! Prende ogni due ore 20 cc di latte, quasi un bicchiere e mezzo ogni giorno! E questo pomeriggio, il piccolo bebè, di nascosto sotto le copertine, dopo tanti sforzi, si è tolto con la lingua la fastidiosa sonda con cui si alimentava. E allora noi ci siamo azzardati a chiamare una delle nostre mamme, mamma di nuovo per l’ottava volta, perché gli avvicinasse il suo petto. E il piccolo Gianluca ha fatto la sua prima esperienza di poppare latte: un successone! E via, speriamo definitivamente, la sonda! Certo, stiamo tutti lì continuamente a controllare se vomita, ma per il momento sembra che la cosa vada bene.

Betania ha voluto essere trasferita in un ospedale più vicino a casa sua, nella zona tropicale dove, per la bassa altitudine, la respirazione è più facile per lei. Comunque, chiama continuamente per cellulare e senza dubbio sta meglio. Il piccolo Gianluca è di là che dorme nella sua culla a fianco con quella del piccolo Juan che ora sembra un gigante al suo confronto! Due gocce di vita nuova per la nostra casa. Due vite che si stringono nella sofferenza, ma anche nella speranza. Le mamme di questi due bimbi hanno storie diverse, ma che scorrono sull’onda del dolore anche dentro le pareti della casa de los niños.

Siamo scesi da poco sul grande fiume e, senza programmarla, siamo stati partecipici di una nuova storia con la tribù degli Yuqui. E’ una storia che fa scorrere anche il grande fiume della casa de los niños. Non sappiamo dov’è la sua sorgente e non sappiamo dove sfocerà questa storia.

Scende tra sponde feconde. Non importa se a volte è velata: non bisogna illudersi pensando che tutto sia chiaro e trasparente. Ma queste due culle, queste due mamme sono come piccole gocce deboli che si danno la mano e rinnovano la vita della casa de los niños, ricreando l’anima della nostra storia.

Scorre l’anonimo fiume tropicale sotto i nostri occhi. Cogliamo tra le mani un poco d’acqua. Fa caldo e rinfreschiamo la fronte. Si suda e forse qualche goccia coglie il tempo giusto per fare un salto questa volta verso l’alto. Allora la stretta di mano delle infinite gocce non è solo per tenere insieme l’acqua del fiume, bensì per creare continuità, amicizia attraverso l’aria e il cielo...

mercoledì 4 luglio 2012

Il messaggio di oggi e' semplice e corto

Oggi, 4 luglio 2012, la notizia che vogliamo comunicare a tutti riguarda il risultato degli ultimi esami medici di Maria Rene' e di Wara.

Finalmente, dopo quasi sette anni, questi esami hanno dato il risultato desiderato e sofferto: "Virus non rintracciabile dagli strumenti di laboratorio!"

Un risultato che ci riempie di commozione e che ci spinge ad un abbraccio e a un ringraziamento tra tutti noi che condividiamo le storie di queste due nostre bimbe. Vorremmo davvero ringraziare tutti perche' tutti, direttamente o indirettamente, conoscono Maria Rene e Wara, e tutti vogliono loro un sacco di bene.

Il dramma della loro malattia che abbiamo portato insieme con tanta incertezza e timore in questi anni ora si tinge di una speranza certa grazie alle medicine, grazie ai suggerimenti di medici amici, grazie all'appoggio di Istituzioni amiche, grazie alla generosita', all'affetto e alle preghiere, silenziosi ma costanti.

Siamo davvero contenti! Dal nostro piccolo centro, qui sotto le Ande, che con umilta' e illusione raccoglie tanti drammi umani, oggi brilla una forte luce di speranza e di gioia, insieme ad un ingenuo canto di vittoria!

sabato 9 giugno 2012

L’arrivo di un bebè...

Da poco più di un giorno è arrivato un nuovo bimbo nella nostra casetta. Ha nome e cognomi, cioè ha una famiglia al completo di papà e di mamma, ha una data di nascita, ma è stato abbandonato dai genitori, supponiamo a causa della sua malattia.

La polizia l’ha trovato per strada, avvolto in fasce. Gli Enti Sociali hanno chiesto a noi di accoglierlo. Non c’era posto per lui negli altri Centri, in città:

“Vi preghiamo di tenerlo solo per due settimane, finché ritroviamo la sua famiglia o cerchiamo un’altra sistemazione”.

Difficile dire di no di fronte a tanta malattia, a un essere così indifeso. E poi ci viene da sorridere al ricordare che la stessa identica frase ci fu detta quattro anni fa quando accogliemmo David! O due anni fa quando arrivò Mateo.

La decisione presa in fretta, senza troppi calcoli o considerazioni complicate. E così venerdì, a mezzogiorno, è arrivato il piccolo Juan. Una sorpresa, una sorpresa per tutti, soprattutto per gli altri nostri bimbi, al rientro da scuola.

Il piccolo Juan ha quasi tre mesi. Pesa 4 chili. E’ idrocefalo come David, come Mateo e come la Jacky. Detto in parole semplici: ha una valvola di derivazione che scarica i liquidi in eccesso dal cervello alla zona addominale.

Arriva il bebè e noi di fretta a comprare pannolini su misura e latte in polvere. E a metterci d’accordo sulla quantità di latte nel biberon, quante volte al giorno, su chi deve occuparsi di lui, dove deve dormire, se avrà freddo o no, annotando su un foglietto se ha fatto cacchina o no, eccetera.

E la vita si trasforma improvvisamente anche tra di noi. Il bimbo piange e non sappiamo perché. Allora l’attenzione è tutta per lui. Usciamo da noi stessi, dalle nostre capacità e abilità professionali, a guardarci in faccia smarriti e a cercare consigli tra di noi visto che non siamo mai stati nè genitori nè mamme.

Povero Juanito: dov’è capitato! Meno male che qui fuori ci sono una settantina di mamme! E poi quasi ogni mese nasce un bimbo nella nostra cittadella per cui possiamo andare “in prestito” di latte materno! Ma da parte di tutti: disponibilità assoluta per le coccole! E allora gli altri bimbi cominciano ad essere un po’ gelosi. Naturale!

Una sorpresa bella, il piccolo Juan.

Dicevamo che non abbiamo tempo per tante considerazioni. Certo: siamo tristi, turbati e perplessi per la scelta presa dai suoi genitori. Ma non li giudichiamo. Abbiamo idee abbastanza chiare sui problemi cerebrali nei bambini. E’ difficile per noi, chissà come sarà per genitori poveri o pieni di figli... Ma basterebbe avere la semplicità di farsi aiutare o avere qualcuno vicino pronto a dare qualche buon suggerimento... Speriamo trovare i genitori.

Mentre tutti gli altri bimbi dormono beati, il bebè è sotto che piange. Ha ragione! Il fatto è che lui ha diritto alla sua famiglia: non sa perché improvvisamente l’ha persa! E così noi la stiamo cercando. Anche se siamo contenti di esserne, temporaneamente, un umile surrogato.

Bello vedere la disponibilità dei ragazzi, di tutti, qui in casa. Certo, noi che siamo specialisti in caos e disorganizzazioni vediamo moltiplicarsi la confusione qui in casa. Ma aprire la porta della nostra casa al bisogno getta un velo su qualsiasi situazione confusa. L’ordine aspetterà.

Tenere tra le braccia un bebè, ammalato senza colpa, è un’emozione che chiarisce e rafforza le scelte profonde di chi vive qui o è venuto qui per condividere un cammino. Ora si capisce meglio:

“Lasciate che i bimbi vengano a me!”

Vien da dire che la Casa de los niños ha ormai una forza profonda che la fa andare avanti. Chi vi arriva l’assimila e la moltiplica. E’ come se la debolezza dei piccoli facesse leva sulla debolezza personale. E ognuno scopre un orizzonte impensato, ma forse anelato. Il cuore si sente capace. E la volontà aderisce.

Piccole-grandi esperienze che ci fanno sentire fortunati, non migliori.

“L’essenziale non si vede con gli occhi!”

Nel piccolo Juan vediamo la triste realtà della sua famiglia che l’ha abbandonato per strada. Assurda realtà alla nostra mente. Ma se chiudiamo gli occhi, vediamo anche oltre la realtà, perché spuntano gli occhi del cuore, gli occhi dei sogni. C’è uno spazio immenso, una capacità immensa nel cuore dell’umanità per la compassione se impariamo a scoprirla e a condividerla insieme.

Chiudere gli occhi alla realtà è lasciarsi svegliare dal pianto del piccolo Juan, dei troppi piccoli Juan che purtroppo sono ancor oggi abbandonati per strada.

Ma noi ci azzardiamo ad affermare che un giorno, come umanità, potremo davvero riaprire gli occhi, perché il piccolo Juan ci sveglierà con la gagliarda simpatia del suo sorriso, in braccio ai suoi genitori. E’ una certezza ed è un augurio:

Ben arrivato, piccolo Juan!

sabato 2 giugno 2012

Il vangelo e la piccola Laureana

Noi che ci crediamo, o ci vantiamo, di essere cattolici/credenti ogni giorno leggiamo il Vangelo per farci aiutare a trovare una luce e per cercare appigli solidi nel nostro cammino quotidiano.

Il vangelo di ieri, venerdì, era quello di Marco, nel capitolo 11, versetti dall’11 al 25. Ecco il testo:

11 Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània. 12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13 Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. 14 Rivolto all'albero, disse: "Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!". E i suoi discepoli l'udirono. 15 Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 16 e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. 17 E insegnava loro dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri". 18 Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. 19 Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città. 20 La mattina seguente, passando, videro l'albero di fichi seccato fin dalle radici. 21 Pietro si ricordò e gli disse: "Maestro, guarda: l'albero di fichi che hai maledetto è seccato". 22 Rispose loro Gesù: "Abbiate fede in Dio! 23 In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: "Lèvati e gèttati nel mare", senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. 24 Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. 25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe".

Si tratta di un Vangelo strano, difficile da interpretare. Io penso che Marco, l’evangelista che lo scrive, fosse una persona semplice. Il suo Vangelo non è complicato per cui ci si può permettere di leggerlo letteralmente e cercar di capirlo così come viene scritto.

Gesù è da poco arrivato a Gerusalemme. La prima cosa che fa è quella di andare al tempio. Vede come vanno le cose lì dentro, non sembra molto soddisfatto, ma è sera e rimanda al giorno seguente le sue decisioni.

Va a dormire a Betania, vuol dire che deve fare un bel pezzo di strada a piedi prima di riposare, ma è l’unico posto dove ha amici che l’accolgono volentieri.

Si alza presto al mattino, non fa colazione perché ha fretta di arrivare a Gerusalemme dove ha in mente un certo progetto la cui esecuzione ha probabilmente occupato la sua mente durante la notte. Forse anche per questo non ha dormito bene. Ha fame sia per il lungo viaggio dei giorni addietro sia per la fretta di arrivare a Gerusalemme.

Di fianco alla strada intravede un albero di fichi. Si avvicina con la speranza di trovare qualche frutto, ma l’esperienza gli ricorda che siamo fuori stagione e i frutti non sono ancora maturi.

Gesù si arrabbia lo stesso e maledice quel povero albero che ha avuto la sfortuna di trovarsi sulla strada di un Gesù stanco e affamato.

Gesù segue il suo cammino e finalmente arriva al tempio. Ed ecco che mette in atto il suo piano: scaccia dal tempio tutti i venditori, mettendo sottosopra i loro banchetti, con una violenza insospettata in lui.

Sembra che non ci sia nessuna reazione dei presenti se non la solita dei sacerdoti fifoni e dei poveri che assentono stupiti, in silenzio.

Bene.

Dopo questa lettura, ci permettiamo di dire che anche Gesù si sbaglia e si arrabbia. E’ un pensiero un po’ azzardato e fuori schema, ma forse è aderente al testo appena letto. Un Gesù che commette un errore e che si irrita fuori modo non è così lontano né da noi né dalla verità.

Gesù si arrabbia con una pianta che non aveva nessuna colpa al non portare frutti fuori stagione! E poi Gesù si arrabbia con i commercianti del tempio e li scaccia via con violenza. E’ verosimile pensare che Gesù non abbia dormito bene quella notte e che fosse veramente molto irritato quel giorno.

In questo testo, Marco sottolinea dunque l’errore e la rabbia di Gesù. E la gente ha paura di Gesù. Solo Pietro, che tra l’altro ha condiviso parte della sua vita con l’evangelista Marco, il giorno dopo si azzarda a rivolgergli la parola costatando che l’albero di fichi si è seccato.

...

Oggi pomeriggio è morta la piccola Laureana...

L’avevamo conosciuta da pochi giorni quando ci era stato chiesto aiuto dai genitori, gente umile, di campagna, per poterla far dimettere dall’ospedale. La diagnosi non lasciava nessuno scampo: leucemia acuta. La malattia si era manifestata tre settimane prima con una improvvisa emorragia.

Noi siamo intervenuti con la speranza di trovare qualche cura alternativa e soprattutto con la speranza di un miracolo. Infatti, l’abbiamo portata subito da medici amici che purtroppo hanno confermato le poche speranze per lei. Ed abbiamo cominciato a ricordarla con trepidazione nelle preghiera.

Laureana, comunque, era felice di essere uscita dall’ospedale, spossata da tante punture e trasfusioni, ed era felice quando veniva alla casa de los niños. E’ ritornata a scuola per un paio di giorni e sembrava non mostrare segni della terribile malattia. Una violentissima emorragia, questo pomeriggio, invece, ha interrotto la sua vita, a soli 11 anni.

Questa sera siamo riusciti ad arrivare a casa sua, sperduta tra le colline, per darle un saluto. Non avevamo mai visto una casa così povera e una situazione di miseria così assoluta. Domani ci saranno i funerali.

...

Con timore ho ricordato l’albero di fichi del vangelo di ieri, seccatosi ingiustamente.

Ragiono in silenzio dentro di me e mi viene da pensare che sia un errore questa morte di Laureana. Non era il suo momento. Tanti frutti poteva dare ancora. Viene da arrabbiarsi... Cala il silenzio e l’incredulità.

Si secca la vita per errore. Si spegne la vita per una improvvisa malattia.

Si usa la violenza, a volte, per difendere la verità. Si reagisce con violenza davanti al dolore assurdo.

E possiamo chiedere una spiegazione a Gesù, come Pietro.

E Gesù risponde che possiamo ottenere tutto con la preghiera fiduciosa.

L’albero di fichi può tornare a fiorire a suo tempo e la vita può rientrare in un ritmo ordinato e rispettoso nella casa di Dio, cioè, nella nostra comunità.

Però c’è bisogno della preghiera e c’è bisogno del perdono. Per tutte le nazioni, come dice Marco.

Ci azzardiamo ad affermare che anche Gesù ha bisogno del nostro perdono perché pure lui ha sbagliato: ha condannato, ha seccato, è stato violento. E poi non ci spiega il senso della morte innocente. E non fa niente per evitarla.

Ma bisogna imparare a stare con lui senza giudicarlo, senza pretendere, anzi perdonandolo, andando oltre la dura verità. Allora tutti sperimenteremo il perdono di Dio e la vita, la speranza tornerà a fiorire.

Una vita reale dove è possibile ricominciare. E dove è necessario dare frutto.

Accarezzavo il volto di Laureana stasera, sotto quelle povere coperte sporche che lo coprivano.

Volevo ricorrere alla preghiera fiduciosa, alla richiesta del miracolo per la sua salute, per la sua vita, come tutte le sere precedenti, quando ancora era in vita: “Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate...”

Ho pensato che la mia, la nostra vita, la vita per tutte le nazioni è povera di spirito, povera di preghiera ed è per questo che è povera di miracoli, povera di frutti evidenti soprattutto perché ci manca il perdono, la capacità di perdonare.

Mi/ci irritiamo tanto e perdoniamo poco.

Con qualcuno mi azzardavo a dire che questo è l’anno dei miracoli per noi, ma ora penso che deve essere soprattutto l’anno del perdono e della preghiera, del chiederci continuamente perdono l’un l’altro, del pregare continuamente gli uni per gli altri.

Vedo di nuovo Laureana: vedo il suo volto luminoso e sorridente che mi ricorda che è proprio inutile perdere tempo sui nostri problemi, sui nostri dolori, su ciò che non capiamo, sui nostri errori e sugli errori degli altri.

Perdonaci, Laureana, perché la nostra povertà ha impedito il miracolo per la tua vita.

mercoledì 16 maggio 2012

Gracias a Dios!

Che dolceza ne la voze de me mama
quando ‘n sema se arivava al capitel:

Mi è tornata in mente questa bella canzone –credo veneta-, imparata tanti anni fa, quando l’altro giorno mi sono trovato per strada, vicino a un capitello, con una mamma che mi chiamava..:

“Hola! Ven, por favor!”

Mi giro e mi rendo conto che mi sta chiamando una giovane che da tempo conosco, mamma di un bimbo che da poco ha compiuto 10 anni, e che lei da 10 anni non vede... Devo confessare che vado sempre di corsa, per le strade di Cochabamba, indaffarato in tante cosette da sbrigare, e una voce che improvvisamente mi chiama mi obbliga a fermarmi e rimandare per un attimo gli impegni.

“Ciao, C., come stai?”
“Bene, Gracias a Dios!”
“E’ da un po’ che non ci vediamo.”
“Sí: se vuoi, sediamoci un attimo, qui, su questo muretto.”
“Hai ragione, sediamoci un attimo, credo che mi farà bene riposare un po’.”


la polsava ‘n momentin,
la pregava pian pianin,


Seduti su quel muretto, gli alberi attorno ci proteggono dal sole del mezzogiorno. E abbiamo tempo per dialogare con calma al fischiettio degli uccellini sui rami..

“Dimmi: come sta mio figlio?”
“Sta bene, l’ho visto qualche settimana fa e stava molto bene.”
“Chiede di sua madre?”
“Sempre mi chiede di te.” (Bugia bella e buona, ma perdonabile).
“Che bene! Gracias a Dios! Ma quanti anni ha adesso?”
“Non te lo ricordi? Ha da poco compiuto 10 anni. Io e M. siamo nati lo stesso giorno, solo con qualche annetto di differenza, non te lo ricordi?”
“No, è passato troppo tempo... Avevo solo 16 anni, allora, e io non ho potuto più vederlo da quando la polizia se l’è portato via.!

Tanti ani è za pasà,
...,
mi me sento ancor la voze:

Infatti, conoscemmo M. poco dopo la sua nascita quando, durante la distribuzione serale del cibo per strada. Lo trovammo insieme alla nonna che vive sotto i portici e che fa la custode di auto nella piazza centrale della città. L’aveva deposto per bene in una cesta di vimini. La nonna se ne faceva carico perché la figlia, troppo giovane e intimorita, era scappata. Dalla nonna sapemmo che, guarda caso, M. era nato lo stesso giorno mio: il 27 febbraio. Fu questo un motivo sufficiente per chiedere che io fossi il suo padrino di battesimo, qualche giorno dopo. E così fu. Noi conoscevamo solo la nonna e ci incaricammo, per un tempo, di procurare latte, pannolini e coperte per quel bel bimbo. Non fu per molto tempo perché la situazione non era sostenibile e la polizia intervenne portando il bebè in un centro di accoglienza, là dove M. vive tuttora.

“E’ alto mio figlio?”
“Certo, è bello alto! E ha sempre quei suoi caratteristici capelli rossi.”
“Mi avevi promesso che mi avresti portato una sua foto...”
“Hai ragione, ma non sono ancora riuscito a farlo: perdonami!”
“Vorrei avere una sua foto nella mia stanza per guardare il suo volto...”
“E’ un bel desiderio! E spero di portartela presto!”
“Gli racconti solo cose belle di me, vero?”
“Certo, non preoccuparti. Lui sa che tu sei dovuta andare lontano per lavoro e che un giorno ritornerai per portarlo a vivere con te.”
“Speriamo, se Dio vuole! E come va a scuola?”
“Fa la quinta e va molto bene. La maestra è contenta.”
“ Gracias a Dios che mio figlio è bravo. Io non so neanche leggere...”
“Certo, il tuo lavoro non ti aiuta molto.”
“Difficile che possa cambiare lavoro e farmi carico di mio figlio. Il mio uomo non ne vuole sapere di bambini.”
“Magari ti cerchiamo un altro lavoro, ma non so se il tuo uomo te lo permetterà.”
“A dire il vero, il mio lavoro va bene, non posso lamentarmi, gracias a Dios. Vedi: mi sono appena comprata queste belle scarpe nuove! E riesco a tenere le mie cosette e ogni tanto aiuto pure mia madre. Lei continua a vivere sotto i portici della piazza principale e so che ultimamente ha avuto un incidente. Vedete se anche voi potete fare qualcosa per lei perché è iniziata la stagione fredda.”
“Sí, incontriamo sempre tua madre la sera e sappiamo che lei riesce ad andare tutti i mesi a trovare M. E lui ne è molto contento.”
“Non ci siamo mai capite con mia mamma, ma io le voglio molto bene.”
“Questo è importante! E tu come stai di salute? Ti sei fatta gli esami?”
“Sí, tutto bene, gracias a Dios!”
“Sono contento!”

Tanta gente passa attorno a noi. Siamo in pieno centro, vicini al mercato e alla stazione degli autobus. Alcuni si voltano, con un certo stupore. Ma nessuno immagina la dolcezza della voce di quella mamma troppo giovane e troppo sciupata.
“Ciao, C., devo andare a casa, ma ti prometto la foto e vado a trovare tua madre. Ci vediamo nei prossimi giorni. Ti posso trovare qui, vero?”
“”Certo, ti aspetto. Mi fa piacere fare due chicchiere fuori dal lavoro.”

Un saluto, e via di nuovo di corsa...
Mi giro indietro e vedo di sfuggita C. sul muretto che mi fa un cenno con la mano, sorridendo, con la sua minigonna rossa, le sue scarpe nuove coi tacchi, il volto consumato, che non è quello certo di ragazza di 26 anni, mascherato dal trucco. Mi immagino la sua vita difficile. Ma soprattutto mi commuove quel suo rivolgersi continuamente a Dio per ringraziarlo. Ci vuole tanta innocenza per poter ripetere: “Gracias a Dios”. Tutto per lei è: grazie a Dio.

E mi torna in mente la bella canzone veneta della Madonnina:

È restà en tochetin de ...,
che la ride quando lì ghe cioca ‘l sol,
el fisceta ‘n oselet
propri ‘n zima sul muret:
Quela voze benedeta
ancor la ven.

Mi giro indietro anche nel tempo. E mi torna alla mente un giorno d’inverno di 10 anni fa, quando un’altra mamma, Erika, conosciuta per strada, ci chiese aiuto per una persona anziana che stava male. La sua insistenza ci convinse. Fu così che un pomeriggio andammo dall’altra parte della città, in una zona povera, tra tante piccole stanze in affitto, e lì conoscemmo don Martín, il signor Martín, che non riusciva più ad alzarsi, non parlava, triste ed assente, adagiato se un pavimento freddo. Gracias a Dios, riuscimmo subito a trovargli una famiglia che l’accogliesse. Dopo una settimana don Martín volò in Cielo, ma il suo volto non era più teso e sofferente come quel pomeriggio in cui lo conoscemmo grazie alla tenacità di una mamma che ci convinse ad andare fin dall’altra parte della città. Noi fummo la famiglia di don Martín per una settimana e, infatti, c’eravamo tutti ad accompagnarlo in quel suo ultimo viaggio e a cantare per lui il grazie per averlo conosciuto.

Ma quello stesso pomeriggio di una settimana prima, tra quelle piccole e povere stanze d’affitto, successe un altro fatto. Si avvicinò a noi una ragazza sciupata nonostante la sua giovane età. E pure lei ci chiese un favore:
“Scusatemi. Vedo che avete un cuore buono e non so a chi rivolgermi per farmi aiutare. Qualche mese fa ho avuto un bimbo, quando vivevo per strada. Mia madre se n’è fatta carico perché io non me la sentivo e sono scappata via appena dato alla luce. Non ho più saputo niente di lui. E non ho avuto il coraggio di tornare da mia madre. Mi piacerebbe sapere di lui e che qualcuno se ne occupasse. Credo che stia in un centro. Io non ho il permesso per poter visitare un orfanatrofio...”

“Ci sono oltre 3.000 bambini nei centri di Cochabamba: come lo possiamo rintracciare?”

“Posso darvi solo qualche piccola indicazione. Il mio bimbo è nato il 27 febbraio e ha i capelli rossi.”
Rimaniamo di stucco!
“Come ti chiami?”
“Mi chiamo C.”
“Tua madre che lavoro fa? Dove vive?”
“Fa la custode di macchine nella piazza principale. E vive sotto i portici.”
Ci scambiamo sguardi di incredulità.
“Sai, C., noi conosciamo tuo figlio! L’abbiamo conosciuto appena nato, in quella bella cesta di vimini preparata da tua madre. E poco tempo fa l’abbiamo battezzato. Sappiamo dove vive e da tempo noi ci occupiamo di lui. Devi essere contenta perché lui sta bene! Stai tranquilla perché noi andiamo spesso dal tuo figlioletto, ma ti preghiamo di andare a trovare tua madre che sempre ci parla di te.” Con un abbraccio commosso salutiamo quella ragazza che ritrova una luce di speranza.

Quela voze benedeta
ancor la ven.
Te saludo,C., steme ben!

mercoledì 25 aprile 2012

La casa de los niños, ovvero, l’incontro di due formazioni! O forse di più...

Pensavo stasera alla nostra casetta, ai bimbi che ci vivono in questo momento, e a tutti gli amici che, sempre in questo momento, ne arricchiscono la convivenza, e che provengono da tante parti e da esperienze così diverse. Da lontano non credo che si possa immaginare come si compone e si ricompone ogni giorno la nostra avventura. E mi immagino che può essere interessante e bello conoscere, almeno per cenni, l’interno di questa nostra bella e speciale casetta. Una volta scrivevamo di una finestra magica. Ci mettiamo allora davanti a quella finestra.


La casa de los niños, ovvero, l’incontro di due formazioni! O forse di più... E da lì ci viene offerta l’immagine come di due squadre, quella dei bimbi e quella degli adulti: l’under 13 e l’over 21.


David, Jacky, Mateo (con una sola T), Denis (ho scoperto oggi che si scrive con una sola N), Nicol (senza la E finale), Mariano, Arisito (diminutivo di Ari) e Manuel. Ecco gli otto, specialissimi! bimbi dell’attuale under 13, ordinati non secondo l’età, ma secondo la data del loro arrivo qui a casa. Due bimbe e sei maschietti. Mateo è il più piccolo con 2 anni e due mesi di età. Jacky è la più grandina con i suoi 13 anni! Ieri era il compleanno di Nicol che ha raggiunto quota tre. Auguri! David ne ha sette e mezzo, Denis tre e mezzo, Mariano 10, Arisito ha da poco compiuto i 7 anni e Manuel ne compirà 7 a novembre. Mariano ed Ari sono fratelli.


Ari, Tania, Jhonatan, Giulia, Javier, Giorgia, Ilaria, Matteo, Gianluca, Giovanna, Beatrice e Zlill. A dire il vero, dovremmo aggiungere anche padre José, Pablo e don José che a loro modo formano parte della nostra famiglia. Anche in questo caso della formazione over 21, i nomi rispettano non tanto l’età, ma l’ordine di arrivo qui a casa. Non è il caso di pubblicare l’età, anche perché in questa formazione ci sono tante damigelle. Solo qualche accenno geografico. Padre José viene dagli Stati Uniti. Javier dall’Argentina, Zlill (non so se scrive così) da Israele. Gianluca, come tutti sanno, dalla costiera Salernitana. Gli altri ci dividiamo tra boliviani e italiani con netta predominanza italiana: dalla Toscana, dal Veneto e naturalmente dall’Emilia. Per alcuni ha significato un ritorno o un doppio rientro in squadra dopo le esperienze vissute qui anni addietro. Altri entrano per la prima volta nella nostra formazione. Una ricchezza preziosa questo incontro da regioni e da storie così diverse.


Non rompiamo la privacy se ci permettiamo descrivere alcuni particolari dei nostri bimbi. E’ solo per farli conoscere meglio e per fissarli meglio nel nostro cuore!


Tutti portano con sè qualcosa che li rende speciali, unici e bellissimi. David, Mateo e Jacky: una valvola di drenaggio del cervello per attenuare i problemi di idrocefalia ereditati alla nascita. Nicol porta con sè la sindrome di Down e una simpatia unica. Denis: il virus dell’HIV e quello del capriccio. Manuel: un nuovo gesso alla gamba destra, lui che di gessi ne ha portati sempre fin dalla nascita! Mariano ed Arisito: la storia della loro tribù tropicale, gli Yuquis con tutte le malattie e gli animaletti della loro zona di origine.


David e Mateo non parlano e non camminano, ma non abbiamo mai avuto bambini così buoni e espressivi come loro. Dobbiamo confessare che spesso ci dimentichiamo della presenza di Mateo in casa, tanto è silenzioso e immobile. E’ proprio immobile, sempre nella sua culla e nel suo passeggino. Solo di notte si lamenta un po’, forse per la luce che lasciamo accesa nel dormitorio dei bimbi. David, invece, è come una trottola, sempre in movimento. Ha imparato a manovrare a dovere la sua seggiola a rotelle e si arrabbia se qualcuno si mette sulla sua strada per intralciarlo. E’ arrivato qui da noi il 25 agosto del 2008. La sua mamma lo visita solo il giorno del suo compleanno, il 23 dicembre. Ma proprio oggi abbiamo saputo che la sua mamma da alcune settimane è sparita da Cochabamba insieme alla sorellina più piccola di David. Non comprendiamo bene...


Mateo è stato abbandonato in ospedale al momento della nascita quando la mamma si è accorta del grave problema cerebrale del figlioletto. Non sappiamo niente di lei...


Sempre oggi, invece, la mamma di Nicol ci ha chiesto di poter venire a vivere in uno dei nostri appartamentini, insieme alle altre due figliolette. Proprio un bel regalo di compleanno per la piccola Babú che vuole molto bene alla sua mamma. Nicol non cammina ancora, dice poche parole tra cui proprio Babú (che interpretiamo: la piccola principessa) e hola = ciao! I bimbi qui a casa e a scuola la riconoscono simpaticamente come Babú o Cocol. E poi dà dei bacini che sono proprio una sua specialità! Pesa come quattro batufoli di cotone messi assieme. Si capisce perché ha passato la sua vita in centri ospedalieri specializzati in nutrizione. Ora ha bisogno di un’operazione al cuore. Medici amici - anche se non li conosciamo-, dell’Italia e del Brasile, ci stanno orientando su come affrontare questa necessità urgente.


Jacky ha 13 anni, come dicevamo, ma a dire dei medici ne ha meno di 5. Non conviene approfondire la sua storia per capire i motivi di tanta contraddizione. Ha anche un’emiparesi che limita la parte destra del suo corpo, ma non le impedisce di vivere con tanta vitalità e tanta voglia di incontrare una mano amica, uno sguardo e un saluto affettuosi. Dovunque va, saluta tutti. Sta imparando a vestirsi da sola, ma poi le nostre damigelle qui in casa si incaricano di farla ogni giorno più carina.


Denis ha perso i genitori nel giro di 6 mesi, l’anno scorso. Ha fratelli e sorelle più grandi sparsi in diverse città della Bolivia, ma nessun parente si prende la responsabilità di accoglierlo nella sua famiglia. Si intuisce facilmente che da qui nasce il suo virus del capriccio: la mancanza di un punto di riferimento chiaro per lui. L’altro virus, quello serio, ereditato dai genitori, purtroppo l’allontana da chi non trova il coraggio e la libertà di adottarlo. Per noi si tratta di un dilemma grave perché Denis è un amore di bimbo. Tutti quelli che lo conoscono, qui in casa e fuori, lo adorano tanto è simpatico e affettuoso. Ma sono quasi due anni che Denis è qui con noi e non si intravvedono spiragli di luce per il suo futuro. Denis sta benissimo. Sta imparando a parlare anche se con lui avremmo bisogno di un interprete, cosa che lo disturba assai quando non riusciamo a indovinare i suoi discorsetti o i farfugli delle sue richieste.


Manuelito è tornato a vivere con noi, in questo periodo, a causa della frattura della tibia destra, rottasi durante un tentativo di scalata su un traliccio di ferro in giardino. Manuel, infatti, formava parte del gruppo di bimbi con cui abbiamo aperto l’esperienza in questa nuova casa, nel marzo del 2007. E tutti lo ricordano con un affetto speciale per via della sua gracilità complicata da quelle due gambette di gesso che portò per oltre due anni come correzione di una anomalia ai suoi piedini. Preferiamo che per adesso Manuel si fermi con noi, tanto la sua famiglia vive qui di fianco, nella cittadella, e non perde il contatto, ma qui in casa abbiamo più possibilità di tenerlo controllato e di aiutarlo con una dieta più sana. Manuel è un bimbo dolcissimo, che viene voglia di stringere sempre al petto. Tra lui e la Nicol non si sa chi vince la sfida all’ingrasso.


Mariano e Arisito purtroppo sono orfani. In pochi mesi, pure loro hanno perso i genitori, sconfitti da malattie tropicali che qui in Bolivia hanno ancora il sopravvento sulle cure mediche. Sono qui da noi per suggerimento della pediatra dell’ospedale di Cochabamba, ossia, per garantire un maggior controllo del loro stato di salute. Febbre costante e infiammazioni nel sistema glandulare facevano sospettare forme speciali di tubercolosi, ma poi, stando con noi, sono venuti fuori dal loro corpo tanti simpatici vermicelli (ascaris) che sono stati combattuti con successo grazie ad intrugli caserecci a base di aglio e rapanelli. Miracolosamente, coi vermi, anche la febbre se ne è andata. Ed è così che Mariano ed Arisito si fermano con noi per lo meno sino al termine della scuola, in novembre. Li conosciamo da quando erano piccoli perché hanno passato divresi periodi qui in casa, sempre per problemi di salute. Mariano è astuto e furbetto come le piccole tigri della sua foresta, mentre Arisito ha un carattere buonissimo e quando cammina sembra un paperottolo. Non sarebbe male se lui potesse condividere la sua pancetta con Nicol o con Manuel.


Che bella squadra formano i nostri bimbi! Per ognuno di loro nutriamo speranze positive. Con una storia così dura alle spalle e un futuro incerto, solo il sogno cucito e ricucito insieme potrà materializzarsi in una realtà bella e vera per ognuno di questi bimbi. Noi intanto li accompagniamo con trepidazione e affetto sincero, come ogni sera si accompagnano a letto e ogni mattina si dà loro una mano a vestirsi, a fare colazione, a preparare lo zainetto per la scuola. Nel pomeriggio si gioca con loro, si inventano programmi, si prepara la cena e poi la doccia salutare che porta via la polvere del giorno. E’ tutto un rito, ora, la pulizia serale, un rito realmente salutare e necessario.


Non c’è tempo per soffermarsi a commentare l’altra formazione, quella degli over 21. Solo dire che ci siamo trovati a vivere insieme in questa casetta, e che ci stiamo bene a percorrere un tratto di storia comune pur senza conoscerci da prima. Una varietà molto interessante di storie, di motivazioni e un grande amore per i bambini che scandiscono nella normalità e nella serenità i ritmi quotidiani, nonostante la stanchezza, le corse e la differenza di vedute. Siamo una bella e originale tribú pure noi. Non facciamo cose straordinarie, ma cerchiamo di essere accanto ai bimbi lasciandoci affascinare dalla loro bellezza e dal loro incanto.


E la casa de los niños cresce e sentiamo che cresce anche la simpatia di tanti (quei: “O forse di più” del titolo) che accompagnano noi, che formano la nostra grande squadra sparsa nel mondo, e che ci seguono stimolandoci con il loro affetto, che sperano e che sognano con noi ed anche per noi.