lunedì 30 agosto 2010

una bicicletta

Mi sono fermato alle prime parole, giovedì scorso, e non ho avuto né la forza né il coraggio di continuare... Ero troppo turbato da quanto successo nel pomeriggio, A qualcuno l’ho già commentato ed ora provo a metterlo per iscritto. Un giorno tranquillo, quel giovedì. Ne avevo approfittato per andare al mercato a comprare alcune cose per le nostre famiglie più povere e una bicicletta per Anahí, una delle ultime nostre bimbe, quelle che ha subito un intervento alla gola a causa di una tubercolosi mal curata e che ora deve vivere con una cannula nella trachea per respirare e cercare di farsi capire. 

Una ragazzina di 12 anni che ha un viso splendido. Da due settimane anche la sua famiglia si è trasferita nel nostro villaggio e Anahí la vediamo poco: significa che è contenta di essere tornata a vivere con i suoi dopo alcuni mesi di degenza/ospitalità nella Casa de los Niños. Maria, la mamma di Nicola, prima del suo rientro in Italia mi ha lasciato un po’ di soldi per comprare regalini ai nostri bimbi. Sapevo che Anahí desiderava una bicicletta così -con i soldi in tasca- ho approfittato del giorno di spese per farle questa sorpresa. 

Arrivato a casa verso le due del pomeriggio non ho trovato nessuno forse perché tutti erano a riposare. Avevo l’intezione di fare un salto in ospedale a trovare Emily ma ho deciso di rimanere in casa finché non si svegliasse qualcuno. Dopo qualche minuto suona il telefono. E’ una delle professoresse della scuola che mi avverte fortemente allarmata che Anahí ha avuto una crisi e non riesce più a respirare e lì a scuola non sanno cosa fare. Vado fuori di corsa a prendere la macchina per andare alla scuola che è proprio dall’altra parte del terreno e per portare d’urgenza Anahí all’ospedale, ma neanch’io so bene cosa si può far per lei in questo frangente così delicato e imprevisto per noi, e poi l’ospedale è lontano. In quei metri che mi separano dalla scuola mi viene in mente di chiamare la dottoressa di Anahí. Per fortuna conosco a memoria il suo numero e il mio cellulare funziona. Mi risponde subito e mi dice di fare in fretta ad andare all’ospedale e di provare immediatamente con la respirazione bocca a bocca, e mi spiega come devo farlo. 

Arrivo alla scuola. Le maestre stanno portando fuori in braccio Anahí, al sentire il clacson della camionetta. Lei ha già perso conoscenza ed è tutta viola in faccia. Gli occhi fuori dalle orbite. Non so da quanti minuti è in quello stato. Non ci sono bimbi attorno, solo adulti, ma siamo tutti terrorizzati dalla situazione e chi grida ha ragione di farlo. Prendo la bocca chiusa di Anahí e cerco uno spiraglio per respirare profondamente nei suoi polmoni. Sento che se ne sta andando e che non riusciamo a farle riprendere conoscenza. Mi chiude la bocca sulla mia e si divincola pure lei in uno spasimo. Con la mano destra cerco di aprirle di nuovo la bocca ma la chiude e mi morsica le dita. Riprovo con tutta la forza che ho e non penso se le sto facendo male. Respiro in lei e continuo a respirare in lei. Dopo qualche instante grumi di sangue escono dalla sua cannula e mi investono in faccia. Anahí fa un rantolo, come se tossisse. Si sta liberando di nuovo la sua gola. La sdraiamo sul sedile posteriore della macchina e chiamo Daniel, il nostro professore di Karpani perché continui lui a praticare la respirazione bocca - bocca mentro io guido. C’è anche Rodrigo che ci dà una mano. 

Impieghiamo 7 minuti per arrivare al pronto soccorso con il clacson sempre in suono. In quei 7 minuti Anahí riapre gli occhi. Daniel le parla continuamente per tenerla sveglia e poi mi conferma che ha ripreso a respirare. Anahí fa segno che le fa male la testa. E’ per l’ossigeno che le è venuto meno durante vari minuti. All’ospedale sono bravissimi e tutti si muovono con prontezza, delicatezza e precisione per Anahí che conoscono benissimo dopo 7 mesi di degenza lì da loro. Con l’ossigeno, Anahí riprende pienamente conoscenza e il suo volto ritorna al suo color pallido e rosaceo. Fa capire che il peggio è passato e che ha solo mal di testa. Fanno radiografie ed esami vari e dopo un’ora Anahí è di nuovo in macchina con noi, spettinata, senza il suo foulard sulla cannula, ma con il volto calmo e sorridente. Riprendo il cellulare per ringraziare la dottoressa perché tutto si è risolto per il meglio. Chiamo anche le maestre per rassicurarle. Nel giardino di casa ci sono tanti bimbi che stanno facendo braccialetti colorati con Marcella e Sara. Nessuno di loro è al corrente di quanto è successo perché nessuno li/le ha avvisati per non spaventarli/le. 

Anahí si mette in ordine e poi esce insieme a loro a fare maniglie. A sera, prima di rientrare a casa, Rodrigo le consegna la sua bicicletta nuova. Anahí è felice. Sembra non ricordi niente di quanto è successo due ore prima. ... una bicicletta, un telefono, un cellulare, una macchina... strumenti e circostanze favorevoli, attimi di panico, una corsa verso la vita, un alito che può ridare la vita... Quando ho visto Anahí uscire dalla scuola, stesa, in braccio alla sua maestra ho pensato che non ce l’avremmo fatta, che era troppo tardi, che non saremmo mai arrivati in tempo all’ospedale... ... poi a sera ho intravisto Anahí davanti alla sua casetta nuova provare la nuova bicicletta sotto lo sguardo incuriosito del fratellino. 

La tensione era ancora così forte dentro di me che mi sembrava un sogno surreale quella vista. ... siamo stati fortunati, giovedì scorso. Ci è stato fatto un regalo immenso, da meditare per lungo tempo. Qualche giorno fa, pensavo buttar via il mio cellulare visto che non ne vedevo la necessità. ... capiamo adesso l’importanza di avere un pronto soccorso attrezzato dentro la cittadella. ... ci rendiamo anche conto che abbiamo una schiera di angeli che stanno lì a proteggere tutti i nostri bimbi e le nostre famiglie. ... ringraziamo per la vita di Anahí, ringraziamo per la vita di ognuno dei nostri bimbi... 






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