domenica 11 dicembre 2011

Don José: ovvero un personaggio speciale della nostra casa, della nostra cittadella

Stamattina è venuta un’amica a trovarci qui a casa. Mentre attraversavamo il cancello, abbiamo incrociato don José che stava uscendo per andare in città, cosa che fa abitualmente ogni mattina. “Ma io conosco quel signore!”, ci ha confessato più tardi questa amica. “Lo vedevo spesso ai crocicchi delle strade e mi sembra che non andasse per buon cammino. Era sempre insieme ad altre persone strane, conosciute in città come gli "antropologi" perché vivevano in antri, in spazi bui e sporchi di Cochabamba. Ma com’è cambiato! Mi sembra che stia molto meglio”.

Ha proprio ragione questa nostra amica: Don José è cambiato!

Innanzitutto, a scanso di equivoci, non bisogna confondere Don José con il Padre José. Entrambe vivono qui con noi, entrambe sono anziani ed entrambe sono personaggi speciali della nostra cittadella, ma solo Padre José è sacerdote mentre Don José è semplicemente José, un signore di 65 anni che è capitato qui da noi “scaricato” dall’ospedale pubblico nel settembre dello scorso anno, insieme a Pablo. Erano ricoverati nella stessa stanza di ospedale, per lo stesso problema, ma -diciamo la verità- non si sopportavano. Così dall’ospedale, a un certo punto, hanno pensato bene di mandarli tutti e due da noi: Pablo per finire i suoi giorni, dato che era in fin di vita, e Don José per sbarazzarsene, dato che nessuno lo voleva. E noi, quella volta, non avemmo scelta: scesero praticamente insieme dall’ambulanza e dovemmo sistemarli in due stanzette vicine. Pablo, come sappiamo, si è ripreso benissimo ed ora vive in un’altra casa, mentre Don José è rimasto –da solo- qui nella sua stanzetta, e non bisticcia più, di nascosto, con Pablo.

Noi non conosciamo bene la storia di Don José. Sappiamo della sua malattia che è la stessa di Pablo e di tanti altri che vivono qui con noi. Ma questo non ci spaventa. Non sappiamo dove e come lui si è beccato quella malattia. E neanche questo ci interessa o ci preoccupa. Sappiamo che Don José ha vissuto gran parte della sua vita in strada, mantenendosi dignitosamente grazie alla sua gran dote di suonatore di charango. Esce di casa, ogni mattina, con il suo strumento a tracolla e il cappello a larghe tese, che ben caratterizzano e contribuiscono alla sua figura di artista bohemio. Dal settembre dello scorso anno, non è più tornato in ospedale. Sta bene. Prende le sue medicine ed ha un posto stabile dove rifugiarsi, non più gli antri bui e sporchi della città. Non è più un peso per noi, Don José, una persona che “siamo stati obbligati ad accogliere”. Alla sera arriva a casa, entra con un sorriso sornione in cucina, riempie la sua caraffa d’acqua e ci chiede permesso per poter vedere un po’ di televisione. Sono le famiglie della cittadella che in questo momento di incaricano della sua cena. Lui si muove in silenzio e quasi non ci accorgiamo della sua presenza o assenza.

Parlo stasera di Don José perché mi ha commosso un particolare.

Alcune settimane fa sono finite le lezioni e, come conclusione, ogni classe, accompagnata dalla maestra rispettiva, ha rappresentato un pezzo artistico, davanti a tutta la cittadella, visto che i genitori degli alunni vivono quasi tutti qui con noi.

A qualcuno, non so a chi, è venuto in mente di invitare, come ospite, anche Don José con il suo charango. Proprio un bel gesto. Quando si è presentato davanti a tutti i bimbi con il suo fedele strumento e i suoi stivaloni da “vaquero”, è scoppiato un applauso di simpatia impressionante. E quando ha cominciato a suonare, tutti ci siamo messi ad applaudire, accompagnando con il palmo della mano i suoi ritmi.

Era notte e probabilmente nessuno ha visto, in quella oscurità, gli occhi lucidi di Don José (chissà: forse Dennis sì...).

... Ed io mi sono commosso al pensare:

... una persona anziana, sola, di 65 anni, con una vita difficile alle spalle, trascorsa come emarginato in strada, con una malattia dura nel corpo e nella psiche, una persona scartata dalla società, una persona senza futuro, una persona catalogata come persa, e scaricata per caso e per pena nella nostra cittadella...

... don José –quella sera- davanti a tutti i nostri bambini, strappando dal suo charango le note di una musica di riscatto.

... don José –quella sera senza cappello - protetto –sopra- dal cielo stellato, stupito e recettivo pure lui nell’ascolto di una magica melodia...

... don José –quella sera- invitato e protagonista senza ostentazione di una speranza che soffia dal cuore della nostra cittadella. Cadono le barriere. Si superano le distanze e i preconcetti. Vince la simpatia.

... dalla finestra magica della nostra casetta, riusciamo a volte a cogliere archi di luminosa unità e il sentiero raddrizzato di storie difficili. Anziani e bambini che suonano, che cantano e che ballano. Malati e sani che sorridono con normalità al ritmo di una vita riordinata insieme.

... la nostra cittadella è un piccolo campionario di gente debole che sta cercando un proprio cammino di utopie e di proposte di ricomposizione.

... abbiamo intrapreso percorsi non sempre trasparenti nella vita: esporci davanti all’innocenza dei nostri bimbi -il tesoro della nostra cittadella!-, ci purifica e ci sprona.
Mi sono emozionato davanti a Don José perché ho visto il dono che rappresenta la nostra cittadella: spazio aperto di incontro e di speranza, di illusione e di rinascita.

Come non sentirci fortunati?





domenica 4 dicembre 2011

Sulla strada ...

La settimana scorsa, mentre distribuivamo la cena calda agli amici/amiche che vivono in strada, sono rimasto colpito da due piccoli particolari. Una parentesi: questo messaggio consente alcune premesse. Innanzitutto, il servizio che sin dall’inizio portiamo avanti con questi amici/amiche risulta sempre un’esperienza profonda che ci arricchisce tanto. Un’esperienza che è maturata nel tempo e che porta molti frutti. Un’esperienza di amicizia e condivisione che non abbiamo inventato noi ma che ci hanno insegnato i nostri primi amici e amiche boliviani: questo è bene tenerlo presente sempre! Prima distribuivamo panini con una bevanda calda. Ora siamo un pochino più raffinati, dobbiamo ammetterlo: quasi una cena coi fiocchi!

E poi, approfittiamo di questa occasione per ringraziare tutti quelli che in silenzio –e senza conoscerci personalmente, come i medici di cui parlavamo nel messaggio precendente- ci danno concretamente una mano per rendere possibile e sempre più curato questo bel servizio. Noi ci consideriamo fortunati perché in questi anni abbiamo visto tanti ragazzi ritornare presso le loro famiglie uscendo dal tunnel della strada che per molti è ancora oscuro, molto duro e senza uscita.

Ci consideriamo fortunati perché le famiglie della cittadella adesso si preoccupano di portare avanti con semplicità questo servizio e lo fanno con molto affetto e dedicazione e con tanta simpatia verso le persone che incontriamo la sera. Conoscono i nomi di questi tutti e persino il giorno del compleanno! Non si tratta, dunque, di persone anonime da attendere in fretta per poi dimenticarsi di loro, no! Sono persone che si desidera incontrare per consolidare un’amicizia semplice che ogni settimana si rinnova.

A proposito di questo servizio, nei giorni scorsi ho sentito il commento di un’autorità locale che diceva che noi, portando la cena calda, incentiviamo la pigrizia di queste persone che dovrebbero invece andare a lavorare per guadagnarsi il pane di ogni giorno. E’ un discorso che ha una logica che molti possono condividere. Io non la condivido e neppure la critico. Io, infatti, non conosco la storia di tutte le persone che abbandonano la propria famiglia e si rifugiano in strada riducendosi a una vita difficile e con poche speranze per il futuro. Per questo non me la sento di giudicare nessuno e neppure di avere la certezza su quale sia il miglior atteggiamento per avvicinarsi a loro. Noi non andiamo la sera a fare un’opera di carità verso le persone che dormono in strada. Noi andiamo a visitare alcuni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle meno fortunati di noi per condividere con loro un’esperienza di solidarietà e vicinanza. Noi pensiamo che si tratta di una cosa buona e per questo continuiamo a farlo. Con certezza sappiamo che a tanti di noi fa bene questo gesto.

Dicevo prima che in genere troviamo la sera sempre le stesse persone, ma a volte si aggiungono incontri nuovi perché le circonstanze ci portano a fare un percorso diverso o perché nuove persone scegliono ogni settimana la strada.

Mercoledì scorso siamo passati in fretta per un viale principale di Cochabamba. Anni fa era un posto di ritrovo comune per tutti i ragazzi di strada e distribuivamo tanti panini e latte caldo. Ora, invece, la polizia si è incaricata di “ripulirlo” dal momento che è il luogo principale di ritrovo della “gente bene” della città. Siamo passati di lì per raggiungere in fretta la piazza. Però, mentre passavamo abbiamo visto un signore solo, seduto su una panchina, con un umile fagotto in mano. Ci siamo fermati nonostante il traffico e abbiamo offerto pure a lui la cena calda. Il signore ci ha guardati stupito e ci ha ringraziati con calore.

Mi ha colpito questo suo grazie così sincero... Era proprio contento di ricevere un piatto caldo! Un piatto semplice, a dire il vero, a base di riso e carne, non come i piatti costosi ed elaborati che si vendono nei ristoranti di quel viale importante. Ma un piatto condiviso gratis, con affetto dalle nostre mamme e dai nostri papà. Quella mano in alto, in segno di saluto e ringraziamento mentre ci allontanavamo con la camionetta, di quel signore solo su una panchina, in quel viale importante dove le coppiette pavoneggiano felici i loro amori, mi ha fatto bene e mi si è impresso nel cuore. Forse rivederemo quel signore la prossima settimana o forse no, ma quel gesto mi ha convinto una volta di più che l’amore non si nutre di ragionamenti contorti ed elevati.

L’amore cresce con i semplici gesti dell’amore.

Arrivati in piazza abbiamo trovato tanta gente ad aspettarci. Qualcuno di noi ha portato il piatto a una signora anziana e cieca che chiede ogni sera l’elemosina dietro l’angolo della piazza. Devo confessare che non conosco il suo nome. Io sono passato per caso davanti a lei mentre ero di ritorno e ho avuto modo di fermarmi a contemplare per un attimo questa signora cieca.

Ho visto che ha tirato fuori dalla sua borsetta un cucchiaio di metallo (noi distribuiamo con materiali di plastica), l’ha strofinato per pulirlo con un fazzoletto, ha fatto il segno della croce e si è messa a mangiare con una calma impressionante, come se volesse gustare ogni chicco di riso. Forse vale la pena ricordare che i ragazzi di strada divorano letteralmente in un attimo un piatto che è una montagna di cibo!

Ho visto in quella anziana la solennità di ogni suo gesto, il piacere di gustare ciò che era per lei, come se fosse solo per lei. Isolata del resto del mondo, concentrata solo su quel piatto! Lei non mi vedeva, come non vedrà mai il volto di chi le ha preparato la cena e di chi gliel’ha offerta. Ma lei sentirà sempre nelle sue mani il calore di quel piatto. Lei percepirà con il palato la bontà di chi l’ha cucinato. Allora, davanti alla bontà, non c’è né spazio nè tempo per la fretta. Ogni istante deve essere vissuto con calma e con solennità.

Mi viene da pensare che la vita deve essere gustata e assaporata con la stessa intensità, calma e solennità con cui quella signora gustava il piatto preparato per lei. Quel piatto era un dono semplice; senza dubbio l’aveva capito quella donna cieca. Anche ogni istante della nostra vita è un dono semplice che riceviamo tra le mani magari senza sapere il perché o da chi ci viene offerto.

Spesso siamo frettolosi e vorremmo anticiparci al domani. Ho imparato dalla quella signora anziana e cieca che tutto è dono da assaporare: tutto, proprio tutto, anche un gesto insignificante. Sono ora io a ringraziare questa signora anziana e cieca, di cui non conosco il nome, che almeno per un attimo mi ha insegnato a vedere e a cogliere il senso profondo e solenne anche di piccoli particolari della vita.

sabato 26 novembre 2011

Forse non si capisce...

Forse non si capisce o forse c’è semplicemente bisogno di dare una spiegazione. Il fatto è che giovedì scorso abbiamo ricevuto gli esiti degli esami di María René e di Wara, due delle nostre bimbe che, come tanti sanno, sono sin dalla nascita portatrici del virus dell’HIV. Sono le prime bimbe di Cochabamba in cui i medici hanno scoperto la presenza di questo virus. E come tanti sanno, María René e Wara vivono da anni con le loro mamme nella nostra cittadella.

Per indicare la presenza del virus nel sangue si usano dei valori, dei numeri, dei parametri tecnici, per quello dico sopra che forse non si capisce. Bene. Giovedì scorso i valori degli ultimi esami di María René e di Wara sono stati i seguenti: 389 e 1256. Cosa vogliono dire questi numeri? Io mi sono emozionato quando ho letto questi risultati. Pochi mesi fa, infatti, i valori che indicavano la presenza del virus nel sangue delle due bimbe erano rappresentati da numeri superiori a 300.000!

Dunque: cosa vogliono dire questi numeri? Vogliono dire che la nuova cura sta funzionando e che le bimbe stanno molto meglio! Vogliono dire, in poche parole, che finalmente il virus è sotto controllo e che si riproduce molto poco! Vogliono dire che tra poco il virus non si vedrà quasi più nel sangue delle nostre due bimbe. Cosa vogliono dire questi numeri? Vogliono dire che le nostre due bimbe sono fortunate perché hanno un sacco di amici e di amiche nel mondo che fanno il tifo per loro! E che lo sforzo che tanti insieme a noi hanno fatto in questi anni, ma soprattutto in questo ultimo anno, hanno dato un risultato importantissimo!

Finalmente si è intrepresa la strada giusta per controllare in modo scientifico e serio la malattia di queste due bimbe a cui noi vogliamo un bene immenso. Ma c’è voluto l’impegno di tanti, probabilmente di tutti quelli che leggono queste righe, ciascuno secondo la propria competenza o abilità. Noi che da anni seguiamo queste bimbe (insieme a tutti gli altri bambini che vivono con noi), e ci siamo fatti un’esperienza empirica della malattia che prima non conoscevamo, visto che non siamo medici, ci eravamo resi conto che la cura precedente non stava dando dei risultati buoni perché le bimbe mostravano ogni sei mesi dei valori sempre in rialzo: 12mila, 50mila, 100mila, 150mila, 200mila, fino ai 300mila dell’ultimo anno, cosa non conforme alle prospettive di un programma terapeutico azzeccato.

Ma il problema risiedeva nel fatto che in Bolivia, Paese povero ed emarginato, non ci sono ancora gli strumenti adatti per un corretto analisi del virus e della conseguente resistenza del corpo alle possibili medicine che sono attualmente sul mercato. A parte il fatto che in Bolivia arrivano solo certe medicine, molte delle quali sono attualmente scartate dai protocolli di altri Paesi più sviluppati. I medici boliviani sono bravi, come tutti i medici, ma devono agire secondo criteri non sostenuti da evidenze scientifiche. E’ per questo che durante l’ultimo anno, da quando io ero in Italia, nel novembre scorso, abbiamo iniziato a prendere contatto con medici italiani e con persone più esperte di una città e di un’altra perché non volevamo rassegnarci a soluzioni precarie per la salute delle nostre bimbe che anche esternamente mostravano segni di grande debolezza fisica.

Sono contento che questi medici ricevano in copia, per la prima volta, un nostro messaggio circolare, anche se per adesso non ci conosciamo personalmente, ma di loro abbiamo una grande stima e da loro ci sentiamo sempre molto sostenuti. Credo che anche loro, oggi, saranno contenti di ricevere questo messaggio. E ci sono stati dati dei buoni consigli; ci sono state indicate delle buone strade! E, visto che non avevamo i mezzi tecnici sufficienti in Bolivia, grazie alla sana testardaggine di qualcun altro/altra che non si è tirato indietro nell’appoggiarci economicamente, ci siamo potuti recare con le nostre due bimbe in Brasile dove gli incaricati di ospedali pubblici, orientati da nostri amici locali, ci hanno accolto con tanta simpatia e hanno permesso la realizzazione di quegli esami di laboratorio che in Bolivia non sono ancora possibili. E, di nuovo, il confronto con medici italiani ci ha permesso l’identificazione di una nuova ed efficace terapia.

E lì sono intervenuti nuovi amici e nuove amiche che non conosciamo personalmente ma che, spronati dalle persone che credono come noi nel bene a tutti i costi, ci hanno fatto arrivare dall’Italia, in poco tempo le medicine giuste che in Bolivia non si trovano, superando ovviamente non pochi scogli burocratici. Sei mesi fa, è iniziata per María René e per Wara la nuova terapia e finalmente, giovedì scorso, abbiamo aspettato con ansia il risultato degli esami e abbiamo gioito profondamente per l’evidente miglioramento delle loro condizioni sanitarie.

Forse non si capisce. O forse è semplice da capire: da 300mila copie del virus siamo passati a 389 copie, una presenza quasi insignificante! Forse non si capisce che questo risultato buonissimo per la salute di María René e Wara non sarebbe stato possibile senza l’intervento, il buon senso, l’appoggio, la vicinanza, l’impegno, lo sforzo e la testardaggine di tutti noi! Di questa famiglia buona che costituisce, in modi diversi, la famiglia della casa de los niños, distribuita in tante parti, ma unita nel sogno di un futuro buono per tutti i nostri bimbi, specie quelli più ammalati.

Forse non si capisce che María René e Wara sono ancora ignare della loro malattia e che non sono coscienti del perché di tutta questa grande corrente di bontà e simpatia che scorre dietro le loro storie. Loro non lo sanno, ma noi vogliamo far arrivare subito un grazie immenso proprio a ciascuno perché ciascuno di noi ha a cuore in modo speciale la vita di María René e di Wara.

Forse non si capisce che noi non ci possiamo mai rassegnare. Abbiamo visto quest’anno, purtroppo, la morte di 4 dei nostri adulti proprio a causa del virus del HIV non controllato a dovere. Non ci sarebbero state questi morti se in Bolivia ci fossere le condizioni sanitarie per un corretto analisi della malattia e noi avessimo accesso alla capacità tecnica, che vuol dire gli strumenti adatti per intervenire immediatamente in casi così difficili o estremi.

Purtroppo dobbiamo ancora ricorrere all’aiuto del Brasile, aiuto che ci è stato proprio oggi riconfermato. Ma il Brasile, che rimane la strada più accessibile per noi in questo momento, non è dietro l’angolo. Allora vorremmo dire a tutti che non dobbiamo rassegnarci: che forse noi possiamo muoverci insieme e spingere affinché questo strumento che si chiama, credo, con un nome difficile: “sequenziatore per la genotipizzazione” possa arrivare presto anche in Bolivia.

La nostra cittadella arcobaleno è il posto che accoglie il maggior numero di persone in Bolivia portatrici del virus dell’HIV. E’ un punto di riferimento per tanti e noi ne siamo orgogliosi! Il nostro desiderio è come quello per María René e Wara: che le cure facciano il loro effetto su tutti! E che possiamo gioire emozionati come giovedì scorso al vedere i buoni risultati raggiunti. ...

Forse si è capito che oggi siamo molto contenti! E che questa gioia vogliamo condividerla subito con tutti! Forse si è capito che non vogliamo rassegnarci e che vogliamo continuare ad andare avanti insieme, con testardaggine e intelligenza, verso orizzonti migliori per tutti i nostri amici ammalati. E noi ne abbiamo tanti attorno...

domenica 13 novembre 2011

17 novembre al Forum Monzani

Come ogni anno , la compagnia "qui'd cadros" , si esibirà con una commedia dialettale al Forum Monzani di Modena a favore della nostra Associazione. l'ingresso è a offerta libera


lunedì 7 novembre 2011

Piccoli passi...

Nicol è una bimba di poco più di due anni che pochi conoscono... E’ arrivata qui all’inizio di luglio perché la mamma, molto giovane e con altre due figlie piccole, non ce la faceva a curarla.

Nicol porta con sé la caratteristica fisionomia Down che, diciamolo con franchezza, a volte ci intimorisce. Ma Nicol è una bimba dal carattere dolce, che ti intenerisce subito il cuore. Non sta mai ferma. Ride e ti punta il suo dito indice per cercare un collegamento, un punto di incontro che la sua voce non riesce ancora ad esprimere. “Conéctate, Nicol!”, e la piccola allunga felice il suo ditino verso che le sta di fronte.

Oltre a non parlare, Nicol non cammina e ha un delicato problema al cuore. Il suo stato di denutrizione era molto severo al suo arrivo. Ora sta meglio, ma è sempre un fagottino di poco peso. E’ comunque un gioiello di bimba per la sua simpatia, con il viso cinguettante da passerotto. E’ impossibile non volerle bene, a parte che non piange quasi mai al punto che la sua presenza in casa passa quasi impercettibile.

Una delle sue caratteristiche è che mangia solo pappette liquide e si irrita di fronte a qualsiasi proposta di cibo solido. Ma... Ma... il fatto è che è arrivata Luciana e una mamma sà fino a che punto e quando è il momento di lanciare una sfida: “I denti, Nicol, li ha ben sviluppati. L’età ce l’ha. E allora Nicol –per il suo bene- deve iniziare a masticare anche cibi solidi!”

E così parte la sfida! E’ la simpatica sfida di ogni giorno, al pranzo e alla cena. “Mastica!”, è il verbo che ormai anche tutti gli altri bimbi hanno imparato e ripetono insieme a Luciana. “Mastica, Nicol, che ce la puoi fare!” E Nicol sputa puntualmente tutto ciò che di solido entra nella sua bocca. Ma non bisogna demordere. E allora la sfida continua, una sfida che si trasforma in tifo accanito di appoggio per ogni passo che Nicol fa. “Dai, Nicol, mastica!”.

Difatti, era da aspettarselo: in questi ultimi giorni, Nicol ha iniziato a mangiare pezzetti di scaloppine, tortellini, frittatine e pane. All’inizio, il suo rifiuto è costante e lei allontana sempre, schifata, la bocca dal cucchiaio, ma poi non resiste alla caparbietà di una mamma che ne sa più di tutti noi messi insieme! E così Nicol fa i primi passi per uscire dal suo stato di denutrizione. Sono passi importantissimi per la sua salute! E noi ne godiamo per lei!

Piccoli passi di caparbietà saggia e materna che sembrano non fare storia in questo scenario di mondo tutto rivolto ad altri tipi di successi, di sfide planetarie di ben altra portata, di risultati macroeconomici per la popolazione mondiale. Ma noi, qui, nella casa de los niños, vediamo solo questi piccoli passi: sono le nostre umili mete raggiunte che ci danno gioia e ci stimolano a vedere orizzonti reali, quotidiani, e ad andare avanti a piccoli passi sul sentiero della speranza semplice e nascosta che questa nostra casa ci dà l’opportunità di osservare e riscoprire per il futuro bello dei nostri bimbi.

mercoledì 31 agosto 2011

congedo per Sandra

Alle dieci di oggi mercoledì, le quattro del pomeriggio in Italia, ci sarà il congedo nella cittadella per Sandra. E' difficile accettare di non essere fisicamente li' in quel momento.

Mi hanno detto per telefono che sono successe tante cose belle da quando Sandra e' rientrata nella cittadella, attorniata dai fiori, dallo stupore dei bimbi, e dall'affetto profondo di una infinita' di amiche e di amici. Le parole che lei ha scritto dal suo letto, nonostante la difficoltà alla vista, hanno risuonato nel cuore di tutti come un impressionante testamento e un miracolo di unita', riassunto nell'abbraccio, nelle lacrime e nell'emozione di un rincontro che e' davvero speciale.

Sandra sara' molto felice di contemplare questo miracolo e dirà che non e' certo opera sua, ma noi siamo sicuri che per questo lei ha vissuto e ha donato la sua vita.

2 settembre:
Aiuta aver davanti la foto di Sandra che abbraccia Evita, strette a un cuore grande... Ed e' vero il messaggio che termina così: "E' coccolata nelle mani di Dio..."

martedì 30 agosto 2011

Sandrina della casa de los ninos

Sono le due e un quarto di martedì, qui in Italia. Siamo appena stati avvisati per telefono che Sandra non ce l'ha fatta... Complicazioni polmonari, in un corpo già debole per la chemioterapia, ci hanno portato via ogni speranza, ma soprattutto ci hanno portato via una sorella carissima.

Poco più di due settimane di speranza da quando improvvisamente ci era stata annunciata la diagnosi: leucemia acuta e tumore cerebrale. Lei era al corrente di tutto. Dopo le prime settimane di cure, conclusasi l'altro giovedì, Sandra sarebbe dovuta tornare a casa per riposare e riprendersi in un ambiente più familiare. Lei, come tutti noi, desiderava poter uscire presto dalla clinica, una clinica per ricchi in cui l'avevamo fatta ricoverare d'urgenza fidandoci del parere dei medici. Nella casa de los ninos era stata preparata con cura una stanzetta apposta per lei, semplice, povera ed umile, come lei voleva essere trattata: come qualsiasi persona della cittadella! Ci aveva rimproverati, Sandra, per averla portata a sua insaputa nella clinica più cara di Cochabamba: "Perché tante spese per me? Io sono uguale a tutti. I soldi che adesso si spendono potrebbero servire per chi ne avrà molto più bisogno di me, specie i bimbi!" Ma noi, in una situazione di emergenza, ci siamo dovuti fidare dei medici e non abbiamo fatto calcoli: "Tra una settimana, dopo le cure, ritorni alla cittadella. Non ti preoccupare per i soldi." Ma venerdì scorso il medico non ha firmato il termine della degenza e non ha autorizzato la dimissione di Sandra dalla clinica. Lei e tutti noi siamo rimasti malissimo ed e' entrato lo sconforto. Qualche ora più tardi e' sopravvenuta la febbre, e poi la diarrea. E poi...

Di fronte a questo crollo fisico inaspettato ci siamo aggrappati alla fede, alla speranza e alla preghiera più insistenti perché sentivamo che la vita di una sorella ci stava sfuggendo via. Il sabato prima della mia partenza per l'Italia ci siamo ritrovati in centinaia a chiedere la salute di Sandra. E' stato un momento commovente che ci ha riuniti tutti dopo anni difficili. L'amore, l'affetto e l'amicizia per Sandra ci hanno ricondotti la' dove, prima, ogni sabato sera ci ritrovavamo come comunità di Cochabamba. Ma mai eravamo stati così numerosi. C'erano tanti bambini e tante famiglie, ammalati e poveri. Il piccolo Dennis scorrazzava indisciplinato davanti a tutti in compagnia di Evita, Tullio ed Elena. C'era la comunità di Sandra, tutta la sua famiglia a cui lei voleva un bene immenso e che le dimostrava un bene immenso. Sandra, dalla clinica, ci aveva fatto sapere che era felicissima di quel gesto di comunione piena con lei, espressione del cuore grande di amicizia che palpitava per lei e grazie a lei.

 ... Siamo qui, lontano, a ricordare Sandra, a cercare di comunicare a tutti il bene di una vita, quarant'anni di vita spese bene, spesa per il bene a tutti i costi, lei che con orgoglio e commozione confessava spesso di aver imparato a dare la vita per i più bisognosi, lei che non esito' un istante nel dare il suo si' quando si tratto' di accogliere Evita nella sua casa.

Non sappiamo come reagirà Evita a questo distacco, lei che, nella sua breve esistenza, di distacchi duri ne ha già dovuti soffrire tanti... Non sappiamo come riuscirà a sopportare un dolore così grande mamma Rosa... E con lei il papa' e i fratelli... Anche per tutti noi si tratta di una situazione che supera le nostre forze.

Ci eravamo attaccati a una preghiera di San Paolo scoperta in un libro di lettura nei giorni scorsi: "Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessita' esponete a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio che sorpassa ogni intelligenza custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.". Fil. 4,6-7

Che sia davvero la pace di Dio a custodire i nostri cuori e i nostri pensieri. Sembra che non ci sia posto per un dolore così profondo. Difatti, il nostro pensiero corre di nuovo la' ai molti che ci hanno lasciato quest'anno nell'angoscia del silenzio e dello smarrimento: tre papa', tre mamme e due bimbe. Ci sembrano troppe partenze improvvise per la nostra famiglia. Nella notte, dalla finestra della mia camera sono stato colpito da due stelle, una più piccola e una più grande, a poca distanza -relativa- una dall'altra. I riflessi di luce sembravano farne sorgere un'altra sotto di loro. Mi e' venuto da pensare a Sonia e ad Emily, Sonia con i suoi sei anni e con il suo tumore al cervello, Emily colpita da leucemia a soli tre anni.

Ho iniziato un dialogo silenzioso chiedendo aiuto per Sandra. Si ritroveranno anche questa notte queste tre stelle a illuminare un tratto di cielo... Sandra, nel letto della clinica, con un gesto di grande umiltà e dolcezza, ha chiesti scusa a tanti che l'avvicinavano o la chiamavano per telefono, lei che non aveva motivo per scusarsi perché era sempre riconoscente verso tutti.

Dall'Italia ho chiesto che si faccia festa oggi nella cittadella arcobaleno per il dono che Sandra e' per ciascuno di noi e chissà per quanti ancora. Sandra dava lezione nella nostra scuola, ma senza ricevere stipendio. Era incaricata di un gruppo di giovani, a lei affidavamo i colloqui con le famiglie con maggiori difficoltà, e con altre persone visitava il carcere femminile di Cochabamba. Il suo lavoro permanente era, di giorno, in un'altra scuola della zona sud e poi, di notte, prestava servizio in un centro di accoglienza per ragazzi/e di strada. Per questo che con lei e suo fratello Alberto c'era venuta l'dea di costruire due casette nella nostra cittadella proprio per ragazzi/e di strada visto che negli altri posti presi in affitto per questo servizio al poco tempo si doveva sloggiare perché padroni o vicini si lamentavano intransigenti per questa attività che dava molto fastidio. Aspettavamo il ritorno di Sandra dalla clinica per poter inaugurare quelle due casette appaiate...

Nella nostra cittadella anche i nomi sono significativi: l'ambulatorio porta il nome di David, il piccolo della tribù yuqui; il nuovo forno ha preso il nome di Antonio. Il centro per ragazzi/e di strada forse dovrebbe chiamarsi: "Sandra", o meglio, Sandrina come la chiamava sempre Tania con l'affetto speciale verso una sorella speciale. E' così che Sandra da sempre ha assunto in se' la sfida di debolezza e di bontà che la comunità della casa de los ninos cerca di vivere. Sandra e' volata in cielo quasi a ricordarci che ormai pure in Cielo abbiamo tanti amici e tante amiche, quasi un'altra cittadella arcobaleno che ci aspetta tutti.

domenica 28 agosto 2011

Evita e la sua mamma

La mamma di Evita ormai è da tanto tempo all’ospedale. La sua salute è debole, mancano le forze perfino per respirare...ma quando la domenica l’abbiamo chiamata per telefono era fiduciosa e il nipotino Tullio gli ha chiesto una cioccolata per quando rientrasse a casa, ed Evita gli ha detto “Sai Mammi? Ti voglio tanto bene, ma tanto bene, come “diocito” ci vuole bene, così, ma anche un po’ di più” dopo queste parole come non continuare a lottare per la vita anche se si rimane attacati solo per un filo?

Noi crediamo che dobbiamo sostenere la nostra sorella Sandra con il nostro affetto e con la nostra preghiera e chiediamo ad ognugno di pregare a modo suo perchè Sandra possa continuare a voler bene e ad accompagnare la piccola Evita che ha ricevuto dal cielo questa mamma che tanto gli vuole bene.

Oggi il medico ci ha chiamato per dirci che lei è molto grave. Ci siamo riuniti per essere concordi nella preghiera e chiediamo a tutti di abbattere tutte le divisioni ed stringerci con un cuore solo accanto a lei per sostenerla in questo momento. Niente è impossibile per Dio e Sandra lo ha sempre saputo . Lei ora nel dolore è coccolata nelle mani di Dio che penserà a lei e ad Evita.

martedì 23 agosto 2011

Serata alla Festa dell' Unità di Roteglia

come tutti gli anni , durante la festa de l'Unità a Roteglia , viene dedicata una serata alla Casa de los Ninos.

vi aspettiamo giovedi' 25 agosto presso lo stand "gnocco e tigelle" (il guadagno sarà devoluto alla nostra associazione).

Nel programma della FU di giovedi oltre ai Bermuda Acustic Trio, è prevista una gara di pinnacolo con ricchi premi.

p.s. forse sarà presente anche Aristide che arriva mercoledi sera dalla Bolivia .

lunedì 1 agosto 2011

Gli occhi di David


Tra qualche giorno, David compirà tre anni dal suo ingresso nella casa de los niños.

Nell’agosto del 2008, infatti, andammo in ospedale a Cochabamba per prendere il primo contatto con lui, su invito delle assistenti sociali di quel centro pediatrico. Data la sua situazione drammatica, non ce la sentivamo sinceramente di prenderlo qui a casa con noi, anche per la mancanza di esperienza di fronte alla sua malattia.

Che significava idrocefalia? Che conseguenze ne derivavano? Che aspettative di vita poteva avere un bimbo nato con una disfunzione cerebrale così grave? Che reazioni poteva provocare sugli altri bimbi? Cosa potevamo offrirgli noi?

“La mamma l’ha abbandonato e non sappiamo a chi affidarlo: fateci il favore di tenerlo un paio di settimane con voi finché non si libera un lettino in un altro centro specializzato in questo tipo di malattie. In tutti i modi, non ci sono molte speranze per lui,” ci supplicarono le assistenti sociali dell’ospedale.

Furono convincenti, e qualche giorno dopo, il 26 agosto del 2008, David iniziò la sua nuova vita nel caos della casa de los niños. La parola caos è quasi un eufemismo se si pensa che in quel periodo vivere nella casa de los niños significava per lui condividere gioie, giochi e giornate con i terribili 5: Evita, María René, Sebastián, Jhonatan piccolo e Manuelito gambe di gesso. Che banda!

Ma, come scrivemmo proprio in quei giorni, David si conquistò in fretta la simpatia di tutti e divenne il sesto fratellino che mai avremmo permesso fosse trasferito in un altro centro, certamente più specializzato del nostro. E così è stato.

Ecco solo alcune linee di quanto scrivemmo tre anni fa, credo che ci fa bene rileggerle: “David puó mangiare solo cose liquide o latte, non parlerá mai, non camminerá mai, rimarrá legato alla sua culla e alle cure di quanti avranno la fortuna di volergli bene... La sua vita dipenderá dall’amore altrui. Ma Lui sa ricambiare con il centuplo in sorrisi o pianti, o con lo slancio delle manine rivolte verso il cielo...”

Ricordo che quella sera, quando scrissi su di lui per la prima volta, eravamo stati con tutti i bimbi a giocare nella stanza dei materassi e fu un’esperienza indimenticabile di testardaggine e bontà. E scrivevo ancora:

"E i suoi occhi luccicavano di gioia come i miei...
ció che é profondamente bello, vero e buono si vede solo con gli occhi del cuore...”


Riprendo in mano questi ricordi perché qualche giorno fa sono tornato nella stanza dei materassi a giocare con David. I suoi 5 fratelli, terribili, se ne sono andati felici a vivere qui accanto con le loro rispettive famiglie... Lui è cresciuto, tra poco compirà 7 anni. La sua testa, piena di liquido che le due cannule che scendono lungo collo riescono ora a drenare abbastanza bene, non spaventa più come i primi tempi perché si è ridimensionata alla crescita di tutto il resto del corpo. Ed anche le mie considerazioni di tre anni fa devono essere ridimensionate perché non è vero che può mangiare solo cose liquide e latte, e non è vero che non camminerà mai e non è vero che rimarrà legato alla sua culla. Certo, il resto è vero: i suoi sorrisi, i suoi pianti, gli slanci delle sua manine verso il cielo... E tante altre cose che lui continuamente ci regala.

E mi è successo che anche questa volta, nella stanza dei materassi ho fatto un’altra scoperta, banale forse, ma per me interessante. Uno, infatti, può guardare David e prestare attenzione ai suoi sforzi per camminare, alle sue grida per raggiungere i suoi obiettivi, alle sue mani tese ad afferrare qualsiasi cosa che gli passa accanto... Ma stavolta io sono stato colpito dei suoi occhi. Mai li avevo visti così da vicino. E li ho scoperti completamente neri, di un nero profondissimo a tal punto da non distinguere quanto la sua pupilla si dilata davanti alla luce. Un nero profondo in cui non si riesce neppure a riflettersi. E mi sono domandato cosa vedono quegli occhi, che pensieri nascondono quegli occhi perché David non parla e tutto deve essere interpretato.

E allora uno può tentare di cogliere le immagini e le emozioni che si stampano e registrano dietro quei suoi occhi neri. E’ un gioco di fantasia, ma è soprattutto un gioco di simpatia verso questo bimbo che ci è stato donato. E’ un gioco di scoperta del suo mondo. Ci proviamo.
David – a causa della sua malattia - è quasi sempre sdraiato nel suo box e la sua percezione della realtà è quella di chi vede le cose dal fianco o dal basso in alto. I suoi occhi si incontrano ogni giorno con i disegni sul muro o sulle pareti del box o magari si perdono a scrutare il senso dei piccoli insetti incrostati nel soffitto bianco del salone o della sua stanza da letto. C’è tanta bontà e simpatia in quei disegni che sono stati pensati appositamente per lui, per cui è bello ed è giusto pensare che gli occhi neri di David registrano ogni giorno tanta bontà e tanta simpatia e la conservano dietro la profondità di quell’iride nero.

Ma ora che David riesce ad alzarsi e a reggersi da solo aggrappandosi alle pareti del box o, quando è seduto sulla seggiola a rotelle (che manovra abilmente come se fosse la sua macchina di Formula 1), ecco che – con la sua testa sollevata – incomincia a sfidare lo sguardo di chi gli sta di fronte e se lo va a cercare. Ha gli occhi alla pari, come qualsiasi bimbo, come qualsiasi persona. E appena ti guarda, le sue labbra si aprono a un sorriso e le sue mani cercano di accalappiare la persona che gli sta di fronte. I suoi occhi sono lo slancio del rapporto che lui vuole stabilire con energia e con fremito incontrollati e a volte violenti, rapporto che non può esprimere a parole ma che è evidentissimo e necessario per lui e per noi. E di nuovo, dietro il suo iride nerissimo si stampa l’amore, il bisogno di amicizia e di affetto che tutti noi nascondiamo insulsamente o riveliamo con fremito e violenza a seconda del nostro carattere.

A volte, la sera, lasciamo David seduto in seggiola a rotelle davanti al televisore. Ultimamente accetta questa nostra proposta e rimane tranquillo davanti allo schermo (tempo addietro scappava via), ma dopo un po’, piega la testa sul fianco e - mestamente e passivamente - rivolge lo sguardo nel vuoto. Si ravviva e applaude solo quando sente sottofondi musicali. Lascio ad ognuno la riflessione personale su questo interessante e intelligente atteggiamento di David.

Contempliamo spesso David rotolarsi sui tappetini del pavimento e sganasciarsi di risa.
Cosa vedranno i suoi occhi in quei momenti? Ci piace pensare che sta vedendo storie fantasiose che lui stesso si inventa e che gli piacciono da morire e che ogni volta le arricchisce di particolari gioiosi. E a David, che è un bimbo puro, piacciono tantissimo le sue storie. Solo la fantasia dei bimbi potrà ripetere la trame di queste storie.

E’ per questo che qualcuno di noi ha battezzato giustamente David come: “el barredor di tristezas”, come colui che spazza via la tristezza. Ed è proprio così.

Gli occhi neri di David sono come le galassie nere che là, nella profondità dell’universo, per un mistero inspiegabile, attirano la materia e l’assorbono e la trasformano in nuova energia di vita. Tutti abbiamo fatto l’esperienza che, dall’incontro con David, siamo attirati verso il bene e verso le cose buone e i nostri affanni o i nostri problemi si dissolvono e vengono assorbiti dal profondo dagli occhi neri di David. Allora ringraziamo David per questi tre anni condivisi, in cui lui è stato con noi senza poter dirci una parola, ma esprimendo sempre l’essenza del bene.

lunedì 25 luglio 2011

La Puya Raimundi e la speranza

La Puya Raimundi è una pianta molto speciale, dalle foglie spinose, che produce fiori molto belli. Noi avevamo una pianta simile, parente di quella specie, nel nostro giardino, di poco più di due metri di altezza, ma le violente piogge di gennaio l’hanno sradicata totalmente dal terreno e una mattina l’abbiamo trovata –poverina- adagiata in terra, con le poche radici all’aria.

A tutti piacevano i suoi fiori, anche se le sue foglie spinose avevano bucato vari palloni quando i bimbi giocavano in giardino, e questo fatto opacare la sua utilità e bellezza.
Per rispetto a coloro che l’apprezzavano, abbiamo tagliato il tronco a meno di un metro di altezza, per renderla meno pesante, e abbiamo provato a ripiantarla con una debole speranza che potesse riprendersi. Così sono passati i mesi e il tronco è rimasto lì senza nessun cenno di ripresa.

... Domenica mattina abbiamo visto con piacere una delle ultime famiglie arrivate alla cittadella che faceva pulizia nel giardino davanti a casa nostra. Quando è tutto bello ordinato è un piacere passeggiare o sdraiarsi in giardino, con sopra il cielo sgombro di nuvole.

L’unica cosa che mi sembrava stonata era il tronco rinsecchito di quella pianta che avevamo cercato inutilmente di far riprendere. Così ho pensato di cavarla via una volta per tutte perché dopo sei mesi di prova tutto sembrava definitivamente morto in lei e stonava con i fiori dei gigli accanto.

Prima di avvicinarmi con la zappa, mi sono ricordato del brano evangelico del fico che Gesù voleva far seccare perché non dava frutti, ma i suoi amici, intercedendo per lui, chiesero un anno di proroga: “Se durante quest’anno non produrrà frutti, lo taglierai e getterai la legna nel fuoco”.

Così dentro di me mi sono detto: “Aspettiamo ancora fino all’inizio della primavera, e se continua a non dar segni di vita, allora getteremo via quel tronco”.

E mentre riflettevo dentro di me su questa faccenda mi sono avvicinato al tronco della pianta.
Con mia grande sorpresa ho visto un piccolo germoglio sbucare a metà altezza. L’ho guardato più volte per sincerarmi di questa scoperta inaspettata. Era proprio così: c’era davvero un germoglio.

Ho sorriso dentro di me e mi sono rallegrato perché la vita e la speranza avevano ancora una volta fatto capolino nel nostro giardino in quel piccolo germoglio verde.

... Quante volte perdiamo la speranza in chi ci è attorno. Sembra che gliela diamo, ma aspettiamo sempre qualche risultato che a noi convenga, se no rimaniamo delusi e ci viene voglia di tagliare via. Succede anche qui, nella cittadella, soprattutto con le famiglie più problematiche. Vorremmo vedere immediatamente un cambiamento, un piccolo germoglio di vita differente, ma non abbiamo pazienza e non crediamo nel lavoro che non dipende da noi o dalle nostre aspettative. E giudizi duri fischiano nella nostra testa: “Te lo dicevo, non c’era da fidarsi di ... Quante opportunità gli abbiamo dato e continua ad ubriacarsi, a non tener dietro ai suoi figli, e alla sua famiglia!”.

A volte facciamo lo stesso ragionamento con noi stessi, e ci avviliamo perché non accettiamo i nostri limiti: siamo come tronchi secchi da gettare via, e non serviamo a niente.
Altre volte ci sembra che niente abbia più senso tanto il dolore è forte e la delusione ci schiaccia...

La natura, invece, insegna, e segue il suo corso inaspettato: improvvisamente la vita riprende, anche quando le intemperie hanno divelto le radici.

Se giriamo gli occhi attorno, uscendo da noi stessi, dai nostri ragionamenti freddi e calcolatori, scopriamo che torna la vita e con la vita torna il sorriso e rifiorisce la speranza.

mercoledì 20 luglio 2011

Il funerale di ieri è stato molto commovente

Cristina ed Emily, una mamma e una bimba, insieme, qui nel nostro giardino colmo con tutti i bimbi della cittadella, ordinati per corso, con le magliette della scuola e inusuale silenzio, le nostre mamme, tante persone di strada dalle espressioni stralunate, la dottoressa dell'ospedale accompagnata dalle mamme di altri bimbi malati di leucemia, le bellissime foto di Emily, le tante letterine dei nostri bimbi riassunte da un sole che piangeva e da altri disegnini con tanti angeli.

Il bacio di Dennis, e gli occhi gonfi della mamma di Emily che pure lei si chiama Cristina.

Tanti canti ed un forte applauso per salutare questo volo verso il cielo che qui sembra più vicino e in cui ci sembrava di muoverci tutti.

In questo periodo la nostra cittadella è di una bellezza speciale perché con il vento del pomeriggio i bimbi ne approfittano per giocare con gli aquiloni ed è tutta una gara di rudimentali carte colorate che si rincorrono sul fondo azzurro e terso del cielo...

E' la seconda mamma che ci lascia quest'anno ed è pure la seconda bimba in pochi mesi che vediamo partire inaspettatamente. Avremmo voluto evitare questo momento e di nuovo sperimentiamo la nostra impotenza davanti al dolore...

Ma poi la casa si riempie di bimbi e bisogna rispondere alle loro domande, bisogna rasserenare i loro pianti...

Stamattina è tornata Cristina, la mamma di Emily, insieme all'altro figlioletto di 5 anni. Lui voleva vedere Emily e la mamma non sapeva che spiegazione dare. Così noi l'abbiamo preso in disparte e gli abbiamo detto la verità, semplicemente e con parole e immagini che i bimbi piccoli non fanno fatica ad accettare.

Lui ci ha detto che aveva sognato con la sorellina e sembrava molto soddisfatto. Da poco era passato il suo compleanno ed Emily si era divorata la torta come mai successo prima...

Poi il congedo di Cristina, con il cuore spezzato che si ricomponeva nel grazie fraterno per quanto vissuto insieme in tutti questi mesi.

Bisognerebbe aver conosciuto Emily per comprendere quanto la sua vita sia sigillata nel nostro cuore...

Si assomigliano un po' per il loro carattere speciale, spesso duro, i nostri "bimbi" che sono volati in cielo: Mayra, David, Luciano, Toño, Zaida, Delia, Daniel, Mayron, Sonia, Emily...

Ma se alziamo gli occhi, ci sorprende un sorriso e ci stupiamo ingenuamente come in questi giorni al vedere le rincorse degli aquiloni in cielo...

martedì 19 luglio 2011

Cristina ed Emily ...

Cristina aveva 33 anni ed Emily poco più di 3... Sono volate in cielo questo fine settimana dopo giorni di agonia nell’ospedale di Cochabamba, a pochi passi l’una dall’altra, a poche ore l’una dall’altra.

Cristina è la mamma di Dennis, il piccolo di due anni colpito, come i genitori dall’AIDS, e che vive nella casa de los niños da circa un anno. In gennaio se ne era andato il padre, ora è toccato alla mamma.

In pochi mesi, Dennis ha perso entrambe i genitori ed ora dovremo pensare insieme per il suo futuro.

Nei mesi scorsi, avevamo chiesto alla mamma di venire a vivere qui con noi, per stare con il suo bimbo, ma lei non ha mai accettato. Da dicembre non si era fatta più viva. Marcela e Gianluca sono andati spesso a cercarla, nei pressi del mercato centrale della città, ma sempre ricevevano scarne informazioni sulla sua persona.

Dalla morte del marito, abbiamo saputo oggi dai vicini, beveva e si era lasciata andare. Non prendeva le medicine per la sua malattia e questo atteggiamento è stato fatale per lei.

Cristina è in compagnia, in questo momento, dei suoi amici di strada che hanno voluto portarla con sé in questo congedo doloroso inventando una festa a modo loro tutta per lei.

Stanotte è volata in cielo la piccola Emily... Non avevamo scritto prima della sua delicata situazione di salute, precipitata inaspettatamente nell'ultima settimana, per non allarmare nessuno. I medici ci avevano dato qualche speranza ma poi non c'è stato niente da fare: una polmonite fulminante ha bloccato i suoi deboli polmoni... e non ce l'ha fatta a resistere. Un respiratore artificiale la teneva forzatamente in vita.

I medici non ci consentivano quasi di vederla, nel reparto pediatrico di unità di terapia intensiva. Meno male che ieri pomeriggio Gianluca è potuto stare con lei per oltre una mezz’oretta. Noi siamo andati a sera inoltrata per pregare davanti alla porta del suo reparto.

Poi nella notte è volata via...

Emily, pur colpita dalla leucemia, era tanto migliorata negli ultimi mesi e mai ci saremmo aspettati una ricaduta così tragica.

Emily ora è qui con noi, nel salone grande della cittadella adornato oggi con fiori bianchi, giocattoli e bellissime foto sue.

I bimbi della cittadella, alla fine della scuola, sono fuori in giardino che giocano e schiamazzano. Hanno preparato disegnini per lei...

Era una bimba a cui volevamo tantissimo bene proprio per la debolezza che l’accompagnava. Ha passato quasi tutta la sua vita in ospedale e sembrava che ormai ci fosse abituata. Ma quando era qui a casa con noi, era felicissima di andare all’asilo e aveva tutto un mondo suo di giochi e fantasie.

Se ne sono andate una mamma e una bimba... Facciamo fatica ad accettare questa volontà così dura e improvvisa..., ma -pur nel buio- anche questo dolore condividiamo.


mercoledì 13 luglio 2011

E come regalo, una manciata di patate cotte

Qui, nella casetta de los niños, condiviamo tutto quello che abbiamo o riceviamo. Cerchiamo di non tenere niente per noi ma di far circolare tutto con la stessa generosità con cui viene dato a noi. Si tratta di un’esperienza che si rinnova con normalità ogni giorno.

Condividere tutto è una parola che entra immediatamente nel vocabolario dei nostri bimbi, anche dei più piccoli: compartir.

Questa mattina, siamo partiti -in 7 italiani!- con la camionetta carica di generi alimentari nel poco spazio rimasto libero. Siamo andati a visitare i nostri amici dell’altipiano, a Nuñumayani e a Karpani. Una giornata dal cielo splendido, nella cornice di montagne maestosamente dipinte dal bianco di neve da poco caduta, inaspettatamente in questo periodo.

E’ sempre una gioia incontrarsi con i bimbi e le famiglie dell’altipiano. Sono protagonisti di una storia parallela, di un mondo che esce dagli schemi a noi conosciuti. Sono un tesoro di umanità fresca e innocente che ritempra lo spirito.

Siamo fortunati perché anche questi amici dell’altipiano formano parte della bella e originale tribù della casa de los niños.

Arrivati davanti alla scuola materna del primo villaggio, piano piano si radunano ordinatamente -a gruppetti- bambini, mamme e adulti. Per ogni famiglia si distribuiscono i viveri. Nessuno si lamenta, nessuno fa ressa, anche se non riusciamo a scambiare molte parole per via della incomunicabilità della loro difficile lingua.

Si svuotano man mano i cartoni dei viveri, ma allo stesso tempo, dai cappelli, dai grembiuli, dagli aguayos (teli colorati tipici) di bimbi e adultil si riversano in quegli stessi cartoni provviste di patate, le ultime dell’anno perché siamo in inverno e non ci sarà raccolto sino alla prossima primavera.

Queste patate –pur piccole- sono dunque un tesoro perché sono praticamente il principale e quasi unico alimento della gente del villaggio e devono durare per vari mesi ancora. Ma vengono condivise, senza calcoli, senza manovre di statistiche economiche o preventivi di riserve.

Ed è così che noi vediamo svuotarsi i nostri cartoni e li rivediamo riempirsi del frutto di quei campi arrampicati verso il cielo, tanto sono alti e impervi.

E’ la generosità che va e che viene, è il grazie reciproco che va e che viene.

E’ la nuova legge economica dettata dall’amore e dalla condivisione piena.

Mentre ci prepariamo per ripartire verso casa, arriva dai campi una signora anziana, non sapremmo mai identificare la sua età. Si avvicina alla macchina e comincia a parlarci nella sua lingua incomprensibile. Ma capiamo lo stesso perché siamo andati lì dove ci portava il cuore. Apre anche lei il suo aguayo e riversa nelle nostre mani una manciata di patate cotte sotto la terra, meno di una decina. Ma lo fa con determinazione, nossa da una forte spinta interiore.

Quella manciata di patate cotte sotto la terra, se lo pensiamo bene, è un dono immenso, che non ha prezzo.

Quelle patate sono il vincolo della generosità senza confini che ci unisce, che unisce il sud del mondo con il nord, che sigilla una fraternità vera che spazza via tutto ciò che è artificiale o razionalizzato.

Sotto questo cielo di un azzurro straordinario, in mezzo a questi campi impervi irrigati da secoli dal sudore dei poveri, questo pomeriggio abbiamo assistito nuovamente alla realizzazione del sogno iscritto nel cuore dell’umanità: che è possibile incontarsi, che siamo fatti per incontrarci e donarci gli uni agli altri, dando tutto di sé.

Dal silenzio maestoso di queste quote riprendiamo la strada verso la città felici perché ci siamo ritrovati con questi che sembrano sprazzi di una umanità umile e insignificante, ma che nel fondo è quella che continua a dare una spinta decisiva al movimento positivo dell’universo.

... e proprio stasera la luna splende piena nel cielo...

lunedì 11 luglio 2011

Domani, 12 luglio, rientra in Italia Alessandra.

Sono passati 8 mesi e mezzo dal suo arrivo, il 31 ottobre del 2010 quando, con Gianluca, arrivarono per dare inizio ad una nuova esperienza, quella della casetta appositamente pensata e ripensata per i bimbi accolti temporaneamente qui con noi. Uno spazio costruito –in fretta- in funzione del bene dei bimbi e di chi si occupa di loro. Fu un tuffo nel buio per loro ed anche per noi, un tentativo di maggior autonomia e di maggior attenzione ai bambini attraverso persone stabili che, per un periodo più lungo, potessero accompagnarli e dar loro maggior serenità affettiva.

Esperienza interessante e necessaria che sta superando la fase di rodaggio e si rivelerà sempre di più importante nella tappa di crescita che stiamo vivendo. Bisognerebbe riuscire ad ascoltare Dennis, Jacki, Arisito, Sebastián per corroborare quanto utile è stata questa esperienza. Per non parlare di David che è tutta una storia a parte.

Alessandra è di Padova, meglio, di un paese vicino di cui non ricordiamo il nome. Ci siamo conosciuti di passaggio due anni fa e poi lei ha pensato di tornare per vivere un esperienza più lunga.

Alessandra prima di partire ci lascia un dono, il libro di Susanna Tamaro: “Va’ dove ti porta il cuore”. Un titolo che già di per sé è molto stimolante e significativo.

La nostra casetta, la nostra storia è segnata dall’arrivo e dalla partenza di tanti bimbi e di tante bimbe -soprattutto-, ma anche di tanti amici e di tante amiche di tante città diverse del mondo, di età diverse, di professioni diverse che vengono a condividere la loro vita qui con noi.

E’ una storia fatta di incontri, arricchita di volti e di cuori, di aspettative e di sogni.
Sono centinaia i volti dei bimbi che abbiamo incontrato e accolto. Sono oltre cento le persone che hanno trascorso un periodo della loro vita qui da noi. Abbiamo l’elenco completo con i nomi di ognuno. Importante non dimenticare nessuno!

La partenza di Alessandra ci offre l’opportunità di ricordare, di rimettere nel cuore, con grande affetto, ognuna di queste persone, di questi amici e amiche che hanno dato vita alla casa de los niños in questi anni.

E’ bene ringraziare ognuno perché i nostri bimbi sono stati oggetto delle loro coccole, del loro amore personale, singolare, semplice, quotidiano e tanto bello. Anche se l’intensità del rapporto è stata diversa con ognuno, la nostra esperienza si è arricchita del dono che ciascuna di queste persone ha rappresentato per noi, per i nostri bimbi, per la nostra cittadella, e lo diciamo sul serio.

Siamo felici di questo dono che è immenso e ci commuoviamo al rileggere i nomi di questo lungo elenco. E, pur lontani, continuiamo a costruire insieme il quotidiano della nostra storia.
Ora, è bene saperlo, oltre ad Alessandra, siamo qui con Gianluca, Marcella e Matteo. Giulia la consideriamo di casa. Sono loro i compagni di viaggio di questo periodo. Marcela, la boliviana, ha preso il posto di Alessandra e con Gianluca si incaricano dei bimbi. A Dennis e Jacky si è aggiunta, da alcuni giorni, Nicole, una splendida bimba di due anni con sindrome Down.

Auguriamo ad Alessandra che il cuore la porti sempre verso l’innocenza dei bimbi, verso il bene dei deboli. E speriamo di ritrovarci lì con lei, sempre, tutti uniti al calore della nostra bella ed eterogenea tribú.

Un forte abbraccio, Alessandra, e a presto!

domenica 26 giugno 2011

fermarsi ad ammirare

Casa de los Niños, 26 giugno 2011

Appena possono, María René e Sebastián chiedono permesso nelle loro famiglie e scappano alla loro “antica casa”, la casa de los niños, per venire giocare, per farsi una bella merenda ma soprattutto per approfittare di qualche coccola in un po’. Così è successo pure questo pomeriggio della nostra prima domenica di inverno, con una temperatura esterna invidiabile di 25º.

Mentre facevamo pulizie in cucina, loro giocavano tranquilli, insieme a Dennis, con i lego. A un certo punto, María René si è fermata ed ha esclamato con felice ammirazione: “Non pensavo, Sebas, che tu sapessi costruire case così belle!” E glielo ha detto proprio contenta.
Mi ha colpito questa semplice espressione di sorpresa di bimba, questo mettere in luce la capacità dell’altro.

E ho pensato ad alcune cose che sono passate davanti ai miei occhi o alla mia mente in queste settimane o anche prima. Ho pensato che è opportuno fermarsi ogni tanto per ammirare e soprendersi felicemente per ciò che altri fanno.

In questo periodo, infatti, ho ricevuto delle foto molto significative di un suggestivo e sudato festival paesano. Mi immagino quanti sforzi è costato!

Ho goduto della vicinanza, che si trasforma in generosità concreta, di persone conosciute ed anche non conosciute che credono fortemente in quello che fanno: pensionati, imprenditori, mamme, parenti, amici/che, politici, medici e tanti altri.

Ho partecipato, da lontano, della vita e delle attività di gruppi missionari che in qualche modo sono legati a noi e ci vogliono bene.

Ho visto con commozione due persone che hanno visitato la nostra cittadella e che tra le “tante meraviglie” si sono soffermate a lungo a contemplare gli occhioni neri di Selena, una delle bimbe appena arrivate da noi e poi, vista la situazione di povertà della sua famiglia, sono tornate a casa loro e da lì ci hanno fatto avere immediatamente una cucina a gas, una bombola piena e delle coperte.

Ho letto con piacere messaggi di adesione in cui amici ed amiche comunicano la loro vita in altri gruppi disposti a “moltiplicare il desiderio di fraternità, di pace, affetto e di cose buone per molti...”

E così pure mi hanno reso partecipe di una Comunità che vuole fare un gemellaggio di fraternità con noi. Ho saputo di giornate intense con altre Associazioni che si danno da fare per diffondere il bene e che si danno il tempo per fare spazio pure a noi.

E si potrebbe continuare con tanti esempi ancora.

María René e Sebastían questo pomeriggio mi hanno insegnato che fa bene fermarsi un attimo per mettere in luce gli altri, facendo sì che il nostro cuore possa sorprendersi di qualcosa di piccolo o grande che scorre proprio davanti ai nostri occhi e se siamo “occupati, pigri, sopra pensiero, sicuri di noi”, cioè, se non siamo come bambini, non riusciamo a cogliere.
Credo che questo significhi sentirsi meno protagonisti e sentirsi parte di un circolo più grande dove non siamo noi al centro dell’attenzione bensí il cuore disteso di una umanità che sa palpitare ancora per gli altri e mette insieme pezzi di vita vera.

Fa bene soffermarsi un attimo per godere dell’impegno di tanti che credono in quello che fanno e sono disposti a giocarsi per questo la loro vita e a regalare felicità e sorrisi.

lunedì 13 giugno 2011

La Casa de los Niños può moltiplicarsi in qualsiasi luogo

Da oltre un mese non ci sentiamo... Meno male che Gianluca tiene aggiornato il blog...

Oggi volevamo mettere in comune una riflessione sulla Casa de los niños, così come è stata pensata e così come la vediamo riflessa in tutti quelli che ci accompagnano, nelle forme più diverse.

“La Casa de los Niños può moltiplicarsi in qualsiasi luogo.
Non è necessaria, all’inizio, nessuna struttura. Bastano due persone che desiderino essere strumento di bontà per qualcuno: per un bimbo, una persona anziana, un ammalato, una persona sola o un povero.
Ma devono essere almeno due persone per poter vivere tra di loro la fraternità. E devono distruibuire bontà, perché il bene, le cose buone, la bontà sono il principio che muove l’umanità e l’universo.
Ma non si tratta di distruibuire il bene ogni tanto, bensì le 24 ore del giorno. Le forme nasceranno da un profondo desiderio di bene: questo mette in moto la fantasia.
Il frutto di questo bene moltiplicato, di questa fraternità semplice sarà la pace, la vita armoniosa tra tanti.
Ma ognuno deve dare tutto di sè, con un’adesione sincera e traboccante di gioia.
Per quelli della Casa de los Niños che credono in Dio sarà necessario stare saldi nella preghiera, sempre. Gli altri che hanno un altro modo di credere o di non credere dovranno stare ben attaccati all’amore concreto, alla condivisione costante di gesti di affetto, tenendo sempre accesa la generosità del cuore.
E dagli occhi sgorgheranno sempre luce e gioia per quel qualcuno di:

“Dí a qualcuno che io sono qui!”

E sarà la nostra debolezza che farà breccia nei cuori, non tanto i nostri risultati positivi e neppure la straordinarierà dei nostri gesti.

La Casa de los Niños deve diffondersi perché ci sono tante sponde dell’umanità che dobbiamo esplorare, in cui incontrare tanti fratelli e sorelle da consolare, con cui condividere la nostra passione.
Dobbiamo continuare a seminare compassione e simpatia nei cuori delle persone che amiamo e che incontriamo.

La Casa de los Niños non nasce del calcolo, dalle nostre risorse e possibilità, ma dal sogno di affetto e di cose buone per molti.
Nasce dalla gioia dell’incontro, da storie che si intrecciano e che anelano tornare ad incontarsi.
Speriamo che la Casa de los Niños possa andare avanti e mettere radici in tanti villaggi, in tante città, in tanti Paesi del mondo là dove la poverta, l’emarginazione, la malattia e la violenza sono ancora realtà vive.
Dipende solo da noi, dal nostro impegno, dal nostro spirito.

La Casa de los Niños vuole essere un piccolo seme di bontà e di fraternità, senza discriminazione alcuna.
La sua radice sta nella debolezza.
Il suo obiettivo è l’amicizia sincera con i poveri e la simpatia con i piccoli.
Il suo linguaggio è la gratuità.
La sua forza è la condivisione piena e la fiducia nell’altro.
Il nostro capitale è la grande amicizia che ci tiene uniti.
A tutti noi è richiesta un’adesione libera, però totale!

La Casa de los Niños è qualcosa di molto piccolo nella storia però vuole essere un piccolo annuncio di bontà.
Ciò che ci unisce in tanti angoli del mondo sono i bambini, i poveri e gli ammalati, e per ognuno di loro possiamo mettere da parte un sorriso, un gesto di affetto, una sorpresa di bene.
Il bene non esce a luce pubblica: il bene è l’incanto della vita, e della nuova vita, quella che dà vita ai piccoli.

La Casa de los Niños vuole seminare bontà là dove ci troviamo.
Il bene è il sentiero e l’orizzonte delle nostre storie.
Vogliamo il bene.
Vogliamo diffondere il bene e raccontarci sempre cose buone”.

domenica 8 maggio 2011

premio inaspettato

Casa de los Niños, 8 maggio 2011

Mercoledì scorso abbiamo ricevuto un premio inaspettato. A dire il vero, l’ha ricevuto una ragazza che vive con la propria famiglia nella cittadella e che sin da piccola è in contatto con noi. Si tratta di un premio internazionale sul tema della solidarietà a cui vengono educati i giovani e su come la vivono. Il premio consisteva in soldini per la ragazza e per l’istituzione che l’ha formata, cioè, per noi.

Si tratta del terzo premio che riceviamo in un anno.

Non è che ci preoccupiamo e ci muoviamo per andare in cerca di premi, ma siamo contenti di questi riconoscimenti perché significa che tante sofferenze vissute insieme portano anche qualche frutto. A dire il vero, di frutti ne vediamo tanti attorno a noi...

Io sono contento di questo premio perché viene consegnato a una ragazzina umile da una fondazione internazionale costituita da donne qualificate che si impegnano nel campo della solidarietà.

Mi piace pensare nel ruolo e nell’impegno di donne perché io ne vedo tante qui attorno che davvero sono protagoniste del bene e della speranza nella nostra associazione.

Non è che voglio fare delle disquisizioni su uomini e donne nel nostro agire, ma non ci fa male ogni tanto ricordare che se siamo arrivati sin qui è perché dietro si sono stati lo sforzo, l’umiltà e il coraggio soprattutto di tante donne. Ed è bello e doveroso riconoscerlo.
Un piccolo esempio, di qualche giorno fa.

Avevamo bisogno di medicine importanti per María René e per Wara, medicine che non si trovano in Bolivia.

Queste medicine sono arrivate, giovedì scorso, grazie alla tenacia e alla ricerca di una donna che non ci conosce personalmente e che lavora nella Regione Emilia Romagna. Probabilmente questa donna si è fidata di noi.

Avevamo chiesto aiuto, in questa ricerca, anche a medici e istituzioni importanti, ma sempre erano venuti fuori scogli burocratici che sembravano insormontabili. Ma qualcuno è stato dietro e si è preso a cuore questa necessità, ed anche gli scogli burocratici sono stati superati.

Siamo dunque contenti e ringraziamo, niente di più.

Ringraziamo per il bene che si può moltiplicare .

Ringraziamo per chi ha una giusta visione del bene e non si frena davanti ad ostacoli.

Ringraziamo per chi ci aiuta a guardare avanti con coraggio e con speranza.

Ringraziamo per chi è contento di accompagnarci in questa avventura e non vuole gli sia riconosciuto un ruolo da protagonista.

Ringraziamo per il tempo e l’intelligenza di chi dedica con gioia un minuto, un’ora, una giornata o tutta la sua vita ai bimbi, soprattutto quelli più ammalati.

Ci ringraziamo a vicenda e godiamo insieme pure dei premi, tenendo ben presente che il premio più importante per noi è la vita dei nostri bimbi.

E per loro noi vogliamo una vita bella.

... guarda caso che oggi è l’otto maggio e in Italia si festeggiano le mamme...

martedì 12 aprile 2011

alcune foto

Ciao. Ne approfitto, stasera, per mandare alcune foto della cittadella, prima del tramonto, qualche giorno fa.


Si respira aria di casa, vero?


Sarebbe bello atterrare qui per vedere dal vivo! Invitiamo tutti.


Le case sono dipinte con i colori dell'arcobaleno, manca dipingere i tetti: lo faremo appena terminate le piogge.


Si vede la scuola al fondo del parchetto che ora usiamo come campo di calcio.


I giochi dei bimbi, con l'erba un po' alta ... panni stesi non mancano di certo e poi ci sono anch'io davanti ai giardinetti belli, nel primo viale... alcune costruzioni nuove...








lunedì 21 febbraio 2011

letterina

Casa de los Niños, 20 febbraio 2011


Carissima Sonia!


Ti scrivo questa letterina per ringraziarti - a nome di tutti - dei dieci giorni che ci hai regalato, qui nella casa de los niños. Dopo averti salutata con un bacio, venerdì sera, adagiata nella tua culla, prima del nostro viaggio a Sucre, ti ho rivista stamattina dietro il vetro della tua nuova culla bianca, vestita come una principessina, con una corona da sposa tra i tuoi corti capelli, come sognano vestirsi tutte le bimbe del mondo.


Sembravi sorridere: il tuo volto era finalmente disteso.


Mentre eravamo a Sucre, sabato a mezzogiorno ci avevano avvisati per telefono che il tuo debole cuore non aveva resistito agli sforzi degli ultimi giorni. Gli occhi si sono inumiditi, un nodo in gola, e avrei voluto volare a Cochabamba per tenerti in braccio ancora una volta.


Ho capito cosa prova una mamma quando le nasce un figlio: un legame di sangue che unisce per l’eternità. Infatti, anche tu sei nata per noi in questi pochi giorni condivisi insieme. Sei nata sotto la pioggia incessante di questi giorni ad un legame eterno con tutti noi della casa de los niños, qui in Bolivia, là in Italia e dovunque c’è qualcuno che forma parte della nostra famiglia, e che ha saputo di te e ti ha stretta al cuore senza neppure conoscerti.


Anche per te avevamo chiesto il miracolo della guarigione: che sparisse quel peso che era entrato improvvisamente nel tuo cervello e ti immobilizzava in un lettino. L’avevano chiesto molto più intelligentemente e spontaneamente, venerdì mattina, i bimbi della scuola, specie i più piccoli: “Che Sonia possa camminare di nuovo e tornare di nuovo a giocare con gli altri bimbi!”.


Siccome non capiamo, cerchiamo di dare una spiegazione e allora dichiamo che il miracolo è avvenuto, ma in un altro modo.


Sí, non capiamo come non capiva questo pomeriggio la piccola Maria Lis, quando durante il funerale mi chiedeva: “Perché stanno sepellendo la piccola Sonia?”.


Sonia è rinata nella vita e nei desideri di ognuno dei nostri bimbi. Lei riprenderà a giocare nei giochi innocenti di ognuno di loro. Senza timore, infatti, i bimbi e le bimbe si sono avvicinati sereni al volto di Sonia, sorellina loro per 10 giorni e per sempre, per darle l’ultimo bacio di oggi, per consegnarle un fiorellino, mentre insieme cantavamo in un clima sommesso di festa le canzoni della scuoletta della pace:


“Vorremmo fare un ponte bello con i colori dell’amicizia. Verde la speranza di un mondo diverso. Giallo la nostra solidarietà”.


Eravamo in tanti nel povero cimiterino di Tiquipaya e il papà di Sonia, nella sua lingua, ha ringraziato tutti della cittadella per aver accolto col cuore la sua figlioletta ammalata. In quel momento, l’affetto e l’amicizia hanno vinto sul dolore.


Sei diventata da subito nostra figlia, Sonia, la nostra sorellina piccola.


Sonia Flores, che ci piace tradurre così: Sonia dei fiori.


Come i bimbi appena nati, non abbiamo sentito il suono della tua voce e non abbiamo fatto in tempo a vederti camminare, ma ti abbiamo accolta nel cuore, da subito, e ci siamo affezionati da subito a quella tua mano che sollevavi ogni tanto per esprimere un desiderio silenzioso che dovevamo intuire e interpretare: erano i tuoi passi e le tue parole inespresse per comunicare con noi, per avvicinarti a noi.


C’era un mistero dietro ogni tua espressione come c’è un mistero inaccessibile dietro il dolore assurdo dei piccoli.


Tante domande sono passate per la nostra mente in questi 10 giorni e chissà quante sono passate nella tua... Sono rimaste senza risposta come non ha risposta la richiesta di Maria Lis questo pomeriggio: “Ma perché stanno sepellendo Sonia?”.


E allora, siccome non capiamo, cerco una spiegazione e mi viene da pensare alla legge profonda sulla quale facciamo tanto affidamento noi della casa de los niños: la legge della debolezza.


Non abbiamo sicurezze, conquiste o successi su cui appoggiarci, su cui contare. Contiamo sui piccoli, teniamo davanti agli occhi la debolezza nostra e di ognuno.


Non ce la facciamo da soli.


E’ per questo che – con i bimbi, con i poveri, con gli ammalati - ripetiamo la frase che sta scritta sulle nostre magliette, riflessa dagli occhi di una bimba:


“Dì a qualcuno che io sono qui”.


Ed è proprio vero che tu continui ad essere qui, Sonia: Sonia dei fiori, Sonia della casa e los niños.

lunedì 14 febbraio 2011

14 febbraio 2011: l'arrivo di Sonia

Poco fa Milton mi ha chiesto: "chi è questo bimbo che sta nella culla". Il bimbo è una bimba , ma per via del taglio dei capelli può sembrare un bimbo. La culla è quella di David che Sonia, come già sapete da Gianluca, sta condividendo da alcuni giorni con lui. Mi permetto di riprendere il messaggio di Gianluca, pubblicato nel suo blog l'altra settimana, così com'è perché è il riflesso fresco e profondo dell'arrivo di Sonia qui a casa, mercoledí scorso:


.. anche Sonia ha il potere di insegnare a chi le è affianco una marea di lezioni di vita in pochissimi secondi come solo poche altri uomini al mondo sanno fare. Con lei ho imparato che le persone malate sono persone "speciali" e, in quanto tali, normali; perché ognuno di noi ha delle specialità che nessun altro al mondo conosce, ma le bambine come Sonia sanno condividerle all'istante con tutti e sanno arrivare al fondo del cuore di chi ha la possibilità di incontrarle. Ed ora vi spiego il perché?


Sonia è malata, ha un tumore al cervello e in ospedale non si può fare più nulla per lei. Sonia correva in bici, andava a scuola e parlava con tutti fino ad un mese fa, ma ora la malattia l'ha resa incapace di compiere qualsiasi gesto che non sia la respirazione e qualche timido movimento. Sonia ha bisogno di amici che la accompagnino in questo momento speciale della sua vita e mi auguro col cuore che tutte le persone che passino di qui in questi giorni, me compreso, sappiano apprendere da lei il più possibile,perché Sonia chiede in cambio solo un sorriso. Non so il perché ma ci sono dei piccoli e intensi istanti nella vita di ognuno di noi che non si dimenticano mai: te li ricordi anche dopo 100 anni! Beh uno di questi momenti me li ha donati proprio questa bambina di 6 anni e 6 mesi: era poggiata sulla sedia a rotelle e un infermiere la stava accompagnando alla nostra Jeep mentre con i suoi genitori abbandonavamo l?ospedale. Non ero ancora riuscito a vedere i suoi occhi perché la sua testa poggiava verso il basso mentre attraversavamo la strada. Arrivati a destinazione, l'infermiere le toglie la sciarpa che le serviva per non cadere dalla sedia e decido di prenderla per le braccia e accompagnarla sul sedile. Ora non so se è stato un caso, una coincidenza o una mia suggestione, ma nel momento stesso in cui l'ho abbracciata e l'ho tirata verso di me la sua testa si alza, il suo sguardo incrocia il mio, ho visto il sole risplendere nei suoi occhi e nello stesso istante,non so cosa,ma qualcosa di lei è passato in me,non so come spiegarvelo,ma non avevo mai provato una sensazione del genere e mai riuscirò a parole a descrivervelo. Lascio lentamente cadere il corpo di Sonia tra le braccia della mamma e con Aristide ci avviamo verso la nostra casa. Ora Sonia riposa in un lettino mentre io vi scrivo dalla mia camera accompagnato dal frastuono del tetto di ferro battuto da una pioggia assordante, ma ho ancora il calore di quello sguardo impresso nella mia memoria e penso a come poter trasformare quel calore in qualcosa di buono per le persone che mi sono affianco senza chiedere nulla in cambio,perché sento che questo sia l'insegnamento donatomi da questa bambina sconosciuta che in pochi secondi è entrata nella mia vita e spero mai ne uscirà!


Sonia è ammalata da un mese, con una malattia imprevista e incurabile. Quando l'assistente sociale dell'ospedale ci ha chiesto di riceverla perché non si poteva fare più niente per lei, noi abbiamo accettato subito, con il consenso dei genitori. Noi non siamo degli specialisti, ma quando possiamo, diciamo di sì, senza pensarci troppo, soprattutto se si tratta di bambini. E lo facciamo insieme, con un accordo tacito, unanime e quasi istintivo che condividiamo anche con chi sta dall'altra parte del mondo. A dire il vero, nel caso di Sonia abbiamo discusso perché capiamo che la cosa più importante per lei è stare con genitori, mica con noi! Si illumina quando li vede o sente la loro voce. Non sappiamo se sente bene o se vede bene, neanche i medici ce lo sanno dire, ma probabilmente intuisce la presenza o l'assenza dei genitori e dei fratellini. Sono in 7 a casa. Abbiamo visto con Gianluca la casetta dove vivono, in un cortile dove si fabbricano mattoni, nella zona dietro l'aeroporto, una zona malsana, a due passi dal bughiciattolo dove qualche anno fa viveva pure il piccolo Manuel con la sua famiglia. Più che una casa, è uno stanzone di circa 15 metri quadrati, senza nessun tipo di sevizio.


Sonia, in questo momento della sua vita, deve stare necessariamente con i genitori e allora noi subito abbiamo offerto una delle nuove casette per la sua famiglia affinché i genitori e i fratelli si trasferiscano da noi il più presto possibile. La mamma e due sorelle ieri notte hanno dormito provvisoriamente qui. Intanto facciamo noi i turni per stare con la bimba di notte. E non si tratta certo di un sacrificio o di un atto eroico. E' un semplice gesto di affetto e di bontà: accompagnarla di notte come di giorno, tanto lei è brava e non si lamenta mai.


Ogni gesto è speciale con lei: darle da mangiare con la siringa; intuire quando ha fame; cambiarle il pannolino; fare un giretto fuori casa con il passeggino; metterla davanti al televisore per farle ascoltare musica; pulire il suo volto che a volte si macchia di vomito; scattarle una foto; ripararla con una coperta; chiamarla per nome nella speranza di vedere una sua reazione; un bacio in fronte, una carezza sui capelli; uno sguardo e un sorriso alla ricerca dei suoi occhi che trascorrono chiusi la maggior parte del giorno.


E' una bimba di 6 anni, come tanti dei nostri bimbi che ora giocano nel parco, di ritorno dalla scuola.


Vengono tante domande: perché la malattia ha scelto proprio lei? Perché tanta impotenza? Come si può improvvisamente spegnere la vita in una bimba?


Chissà quanti gridi repressi nel suo corpo.


Possiamo immaginare i suoi pensieri di bimba: Vorrei tornare a camminare. Vorrei giocare con le mie sorelline. Vorrei alzarmi dal letto, ma non ho la forza neppure di piangere. Vorrei stringere in un abbraccio i miei genitori. Vorrei mangiare un panino con la mantequilla e bermi da sola un bicchiere di latte. Vorrei un cioccolatino. Vorrei togliermi dalla testa quest'affare che mi opprime. Vorrei togliermi anche questo odioso pannolino che mi fa vergogna: ho già sei anni! Vorrei vedere Cenerentola in televisione. Vorrei comunicare quello che mi succede dentro ma improvvisamente non ho la forza di muovere nessuna parte del mio corpo?.


"Vorrei, vorrei", è il verbo dei bimbi che spesso noi sgridiamo perché li consideriamo capricciosi.


Davanti a Sonia anche noi vorremmo, vorremmo tante cose. Ma vogliamo soprattutto sognare insieme il miracolo per la sua vita. Noi ci guardiamo in faccia e chiediamo insieme il miracolo per la sua vita, lo chiediamo perché non ci sembra giusto vederla com'è adesso. Vorremmo conoscerla com'era un mese fa: bimba tra gli altri bimbi. Non ci sembra giusta la straordinarietà del dolore in Sonia: vorremmo la normalità dei giochi e dei capricci per lei. Vorremmo sentire le sue grida risuonare nella casa de los niños...


... Sonia si prepara per andare a letto... Qualcuno le farà compagnia... Lei si sentirà tranquilla e dormirà...