martedì 16 dicembre 2014

Ci sarà Natale per loro? Pensieri e volti

Alle soglie di qualcosa o di qualcuno, i pensieri e i volti che ci illuminano... e il grazie che li rende reali e veri 

Casa de los Niños, Bolivia, 16 dicembre 2014

In queste notti di dormiveglia, che dovrebbero essere di riposo dopo giornate “piene”, il lamento inquieto dei bimbi, la tensione provocata dal ritmo intenso della vita e la ripetuta domanda sull’orizzonte a cui puntiamo insieme stimolano il pensiero e ci provocano alla riflessione. Pensieri condivisi a distanza.

... Sono appena uscito dallo studio del medico. Mi ha mostrato le crude immagini della laringobroncoscopia di Claribel, la bimba di 3 anni che abbiamo conosciuto alcuni mesi fa in ospedale. Cammino per strada di ritorno a casa e il pensiero –contraddittorio- va al Natale ormai prossimo. Il tumore in gola di questa piccola bimba si sta espandendo. La tracheostomia, che le è stata praticata appena ricoverata in ospedale, tra qualche settimana non sarà più sufficiente per garantirle la respirazione. Ci sarà di nuovo un Natale per Claribel? Non trovo risposta e non c’è chiarezza nei medici locali; soprattutto è evidente la loro poca esperienza in situazioni di così estrema gravità. Abbiamo bussato di nuovo alle porte di Ospedali amici –più esperti- in altri Paesi, ma per il momento ci è stato negato l’aiuto offertoci in altri casi. Rivediamo il volto di Claribel, così come ci accoglie ogni volta che la visitiamo in ospedale. Ci corre incontro, in quel lungo corridoio del suo reparto, con le braccia aperte. Non può parlare, ovvio, ma il suo sorriso è come uno spiraglio aperto al cielo dell’innocenza e della simpatia. Ci guardiamo in faccia e non troviamo risposte.

Natale si avvicina, significa che i giorni passano... e gli interrogativi si fanno sempre piú pressanti. Come è pressante il ritmo di vita e di sorprese che ci coinvolge in queste settimane prenatalizie. ... Mercoledì mattina, le assistenti sociali dell’ospedale ci avvisano che un bimbo di 33 giorni di vita è stato abbandonato dai genitori e non può più rimanere in ospedale. La realtà è chiara: il bebè occupa invano una culla, non c’è più spazio per lui in ospedale. E’ nato prematuro, ma ora pesa già 1 chilo e 700! Pur così piccolo, di salute sta bene e può essere dimesso. Le infermiere gli hanno dato un nome: Miguel Angel. Ci portano a conoscerlo. Sembra un gattino, tanto è piccolo. Firmiamo il documento legale e in poche ore Miguel Angel varca le porte di casa nostra. Gli altri bimbi, qui, gli si fanno intorno felici e sopresi. Vengono anche le nostre famiglie. E’ subito evidente: Miguel Angel non si fermerà per molto tempo con noi. Infatti, dopo appena due giorni una delle nostre famiglie, che frequentano i corsi legali di preparazione per l’adozione, viene scelta per l’accoglienza del bebè. Che sorpresa per loro, che regalo inaspettato alle soglie del Natale! L’incontro è ovviamente emotivo e carico di gioia. E così si aprono di nuovo le porte di casa per il piccolo Miguel Angel che salutiamo e abbracciamo con affetto.

... Non passa neppure un giorno e questa volta ci chiamano per accogliere una bimba molto ammalata che i genitori non riescono più a tenere: che colpa ne ha la bimba ad essere ammalata? Ci dicono che altri Centri in città, più specializzati del nostro, non la possono ricevere e allora noi diamo la nostra disponibilità. E’ da poco passato mezzogiorno e diamo il benvenuto ad Arelý, così si chiama la nuova bebè il cui nome significa in ebreo: bimba adorata. Ha una malattia strana, che non conosciamo: le si formano continue ferite sul corpo come se la sua pelle si disfacesse. Scriviamo subito in Italia per avvisare gli amici. Arrivano suggerimenti, sino ad oggi, con il verdetto difficile e duro: “Trattasi di epidermolisi bollosa distrofica; genodermatosi caratterizzata dalla spiccata fragilità cutanea e mucosa; il reale problema riguarda il possibile coinvolgimento esofageo con possibile stenosi; cure locali antisettiche per la cute, cure sistemiche praticamente inesistenti”. Sono parole difficili ma l’evidenza ci aiuta a comprenderle. Anche i vestitini possono provocarle ferite e sangue. Dobbiamo avere molta attenzione! All’inizio, per non sbagliare, le mettiamo solo il pannolino. Sempre all’inizio, l’evidenza ci porta fuori pista con l’età. Infatti, Arelý è nata con due dentini per cui pensiamo che abbia almeno 7 mesi, invece ne compirà 4 venerdì prossimo. Ci stupisce la fragilità di questo corpo. Ci impressiona il dolore che sperimenta una bimba così piccola. E’ grande la nostra impotenza. Speriamo che i medici ci aiutino. Andiamo da loro a cercare indicazioni e suggerimenti nelle cure. Ma sono loro stessi a ripeterci che sarà l’amore che lenirà le ferite aperte del corpo e del cuore della nostra bebè. Di ritorno a casa ci aspetta una famiglia della cittadella: vuol farsi carico della piccola Arelý. E così la bimba colma in breve il suo abbandono e sperimenta il calore sincero di un abbraccio. Bello: Arelý vivrà la gioia del suo primo Natale! Un regalo reciproco, speriamo... ...

Anche Saíd ha appena compiuto 3 anni. La Giudice dei minorenni, un mese fa aveva autorizzato il ricongiungimento con la sua mamma che purtroppo ha il vizio del bere, ma che si era sottoposta a un trattamento in un centro di riabilitazione durante un anno. Purtroppo, è trascorso solo un giorno e mezzo e la polizia ha incontrato il piccolo rannicchiato e infreddolito, alle due di notte, in un angolo del mercato della città. A fianco, la mamma fradicia di alcool. Di nuovo sottratto alla mamma e questa volta portato da noi. La Giudice è arrabbiatissima: “Le avevamo dato un’opportunità e dopo appena due giorni ci ha delusi! Sarà ben difficile che il bimbo possa essere affidato di nuovo alla mamma. In tutti i modi, dovrà passare molto tempo!”. E noi siamo andati a cercare quella mamma. L’abbiamo trovata piangente e distrutta in un bughigiattolo sporco e incredibilmente misero nella periferia della città. Natividad, così si chiama la mamma: strana coincidenza di questo suo nome in questo periodo! “Ho sbagliato, ho sbagliato di nuovo, mi sono fatta trascinare dagli amici, ma voglio bene al mio bimbo, non ha senso la mia vita senza di lui, io non ho nessuno. De nuevo voy a pasar la Natividad sola!”. Ascoltiamo una storia triste, come tante altre. Ma la Giudice soppesa i fatti, non i sentimenti... Anche noi soppesiamo i fatti: Saíd si sveglia tutte le notti alle 3. Si mette a piangere sconsolato e chiama la sua mamma. Tutte le notti! Beati noi! E allora noi, in questo mese, siamo andati a bussare alla porta della Giudice dei minorenni. Una volta, due volte, tre volte. Tra poco è Natale... Il pensiero va a Natividad, all’opportunità fallita che la Giudice le ha offerto. Siamo sinceri: Natale rappresenta anche l’opportunità fallita per oguno di noi, per noi, uomini e donne che ogni anno lasciamo scorrere il Natale e dentro siamo sempre gli stessi, fradici di miseria e di limiti. Quanti Natali sono passati? Quante opportunità al vento? Allora, finalmente, la Giudice mi ascolta perché, forse, la stella di Natale illumina e ci indica una soluzione: scopriamo infatti che c’è una famiglia di fiducia che può accogliere e proteggere Natividad e Saíd almeno durante un anno. E così sabato mattina, mamma e figlio si sono riabbracciati dopo un altro mese di lontananza. Con la nostra macchina li accompagniamo presso questa famiglia di fiducia. Un regalo di Natale in anticipo, con tanta trepidazione...

... Di ritorno, è sabato mattina, passiamo in ospedale a salutare in fretta Claribel. Ci avvicina una giovane mamma. Un’altra storia dura condivisa sulla soglia dell’ospedale e alle soglie del Natale. Il suo piccolo, Gabriel, di appena 6 mesi, è nato con una definitiva paralisi cerebrale. Non può deglutire e si nutre con una sonda gastrica, come il nostro Ronald. E’ un bebè spastico, con continue contorsioni del corpo. Fa una difficoltà enorme a respirare per il catarro e la saliva che non deglutisce. Povera creatura e povera mamma. Non si può fare molto per lui e in ospedale non lo possono più tenere. La mamma viene da una città lontana, il suo compagno l’ha abbandonata e lei non ha la forza di affrontare una realtà così dura, e non sa a chi rivolgersi. Ha solo 19 anni. E’ sola e smarrita. Chiamo a casa. Siamo tutti d’accordo, mi dicono: che vengano per un tempo da noi. E così in nostra macchina di nuovo una mamma e un bimbo, Cinthia e Gabriel. In fretta si prepara una stanzetta ben ordinata per loro. Capiamo lo smarrimento e i timori di Cinthia, ma cerchiamo di farle capire che non è sola e che lei è mamma: è l’unica cosa di cui ha bisogno il suo figlioletto. Nella nostra casa tutti i bimbi hanno storie difficili, sono stati abbandonati dai genitori, ma tutti sono accolti con amore e tenerezza. Gabriel ha una gravissima paralisi cerebrale ma il suo cuore batte e sente con forza. Infatti, il piccolo piange tanto per il dolore che sperimenta, ma si tranquillizza subito quando la mamma lo prende in braccio. Ci rendiamo conto che Cinthia guarda stupita il muoversi di tanti bimbi così diversi nella nostra casetta. Parla molto poco. E’ smarrita. Domenica pomeriggio decidiamo di fare insieme una passeggiata in città con tutti i bimbi, al mercato in piazza che si veste di Natale. E’ una simpatica e originale fila di tante seggiole a rotelle! Cinthia ci accompagna con Gabriel in braccio che dorme quieto.

Un pomeriggio sereno trascorso insieme. ... Stamattina, mentre stavo facendo la spesa, arriva un messaggio sul mio cellulare: “Mi dispiace, ma non sono stata capace di resistere a questa situazione: perdonatemi”. Ci comunichiamo. Le ragazze che sono in casa corrono subito su in stanza e trovano il piccolo Gabriel solo nella culla, che piange: la mamma l’ha abbandonato e se n’è andata. Non abbiamo parole... Non abbiamo parole e non abbiamo tempo né per pensare né per giudicare... Il piccolo ha bisogno subito di essere cambiato e lavato. Il piccolo ha bisogno subito di essere accolto. ... Abbiamo passato questa notte insieme con Gabriel che sembrava soffocare per il catarro e aveva bisogno costante dell’aspiratore. Tenerlo in braccio, tra la comunicazione sofferta di un pensiero e l’altro, mi ha ricordato con una certa emozione che il Natale è ormai prossimo, anzi, che è già qui...

L’abbraccio di questo suo corpo avvolto in calde copertine ma stremato precocemente dalla malattia, il suo volto avvicinato e stretto al mio, dolcemente, mi ha rivelato con amara sorpresa che Gabriel non vede: le sue pupille sono come spente, vuote. Ma abbracciati diciamo sí, insieme, al Natale, nel silenzio della cucina della casa de los niños, e cogliamo, insieme, l’opportunità e la necessità di farci guidare nella nostra comune cecità da una stella che brilla sopra di noi, che brilla anche per noi. In questa notte illuminata da questo abbraccio con il dolore mi viene da dire che Natale è già passato davvero, quella volta, tanti secoli fa. Ma nell’infinito del cielo, nel ciclo dell’universo in cui siamo immersi, la stella ritorna, luminosa come il volto di un bimbo. Che bello accorgersene, magari abbracciati insieme. Buon Natale!






mercoledì 12 novembre 2014

Macaria

Casa de los Niños, Bolivia, 12 novembre 2014

Stanotte non risuona la voce di Macaria lungo i corridoi della nostra casa... La sua breve vita di donna e di mamma si è consumata stamattina alle 8 in silenzio, in presenza di Giulia e Pablo, mentre noi stavamo dando la colazione agli altri bimbi. Siamo stati compagni di viaggio durante 21 giorni, coltivando ingenuamente la speranza di un possibile ricupero della sua salute.

Non sono stati giorni facili: storie troppo diverse, le nostre, che si sono incrociate solo perché gli ospedali pubblici non hanno accolto un corpo in sfacelo per l’AIDS. Noi le abbiamo aperto la porta di casa e con il passare dei giorni ci siamo avvicinati a questa mamma, impegnati nel tentativo di sfiorare i segreti del suo umile mondo, sfidando una malattia con cui conviviamo da anni, ma che spesso si fa beffa delle nostre illusioni.

Non si fa poesia davanti a un corpo che si consuma inesorabilmente. Solo domande soffocate dal dolore e piccoli gesti di affetto, gesti forse insignificanti e che passano inavvertiti, ma probabilmente sono quelli che sorreggono le pareti della nostra esperienza quotidiana: un bicchiere d’acqua, una preghiera, uno sguardo affettuoso, una carezza sul volto, una spazzolata ai capelli ormai sciolti. 

Poche parole scambiate al volo anche per l’incomprensione del linguaggio tra i suoni che fanno fatica ad uscire da una bocca quasi chiusa per i muscoli ritratti: “Hai bisogno di qualcosa, Macaria?” “No. Sto chiamando i miei due figli”. Una preghiera profonda e vitale nella notte della malattia e nel digiuno dell’assenza fisica delle sue due piccole creature. Gesù, negli ultimi istanti della sua vita, invocava, come figlio, la presenza di Dio, aggrappandosi al rapporto fattosi improvvisamente dubbio.

Macaria, come mamma, annaspa a tentoni per abbracciare una volta ancora il ricordo di chi ha generato in un rapporto di amore e che ormai sfugge ai suoi occhi e allo slancio delle sue braccia. ...

Abbiamo condiviso riflessioni sulla preghiera in questo periodo, partendo dall’esperienza concreta della nostra casa e dalla coscienza della povertà della nostra preghiera personale. Ci siamo poi interrogati su un’espressione del Vangelo: “Certe malattie/ostacoli (la parola demoni non ci piace e non ci convince) si superano solo con la preghiera e il digiuno”. Dobbiamo riconoscere che è stato l’amico Gianluca che ha lanciato nella nostra piccola comunità la sfida del digiuno ricordando che tante delle famiglie che abbiamo attorno non sempre hanno di che mangiare. Macaria non riusciva ad ingerire alimenti (solo un po’ di frutta o qualche cucchiaiata di zuppa boliviana), e la divorava una sete soffocante. Il digiuno per lei era espressione di rifiuto in un corpo ridotto al nulla: una scelta obbligata dalla malattia. E così, guardandoci attorno, dentro le pareti di casa, abbiamo compreso in questo periodo che il digiuno può diventare una scelta necessaria e indispensabile: una opzione profonda di libertà e intelligenza.

Nel mondo dell’autosufficienza, in cui sembra che in ogni istante tutto è raggiungibile perché le nostre decisioni sono assolute e prioritarie, non questionabili, la scelta volontaria e cosciente del digiuno può accompagnare una volontà matura, può svuotarci di tante sicurezze a cui ci aggrappiamo inutilmente. E non c’è bisogno che nessuno ci veda o che nessuno lo sappia, come dice il Vangelo.

Comprendiamo che digiuno e preghiera possono essere luce di decisioni mature e responsabili in un mondo in sfacelo, possono rappresentare una spiraglio di infinito nella mente spesso offuscata dalla malattia dell’opulenza e dell’egoismo, possono liberarci dagli inciampi artificiali dell’autosufficienza.

Abbiamo bisogno di superare insieme scogli e pareti che ci separano da un rapporto sano, purificato, guarito con chi ci sta accanto, smontando sicurezze personali acquisite spesso con superbia. E ci avverte Gesù che molte di queste sicurezze sono religiose, spirituali!!!

Di fronte alla barriera della nostra intelligenza sconfitta, di fronte all’impossibilità spirituale di fare miracoli, Gesù ingenuamente indica il cammino della preghiera e del digiuno. È la strada intrapresa da Gesù e forse è la strada degli sconfitti lungo la storia dell’umanità. Allora acquista senso l’invocazione di Macaria nella notte: “No, sto chiamando i miei due figli”, che ormai risuona con chiarezza nei corridoi esistenziali della nostra casa. Sul digiuno del corpo germoglia la preghiera liberante della mente che ci riporta con chiarezza ai rapporti essenziali.

Riprendiamo un attimo il breve testo del Vangelo di Matteo, nel capitolo 17,19-21, sostituendo alcune espressioni. Questo capitolo inizia con l’esperienza della Trasfigurazione del Signore su un alto monte in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni. Mentre discendono dal monte, si avvicina un papà che si inginocchia davanti a Gesù e invoca il suo aiuto perché ha un figlio epilettico e nessuno l’ha potuto guarire, neppure i suoi discepoli. Gesù prima si arrabbia, poi manda a chiamare quel bimbo e lo guarisce. “Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù in disparte e gli domandarono: "Perché noi non siamo stati capaci di guarirlo?". Egli rispose: Questa razza di malattie non si sana se non con la preghiera e il digiuno".

Neanche noi siamo stati capaci di guarire Macaria. Il cammino della storia dell’umanità è lungo, come la discesa dall’alto monte della Trasfigurazione che ci riporta alla nudità del nostro fallimento di fronte a bambini e mamme ammalate.

Allora anche noi ci avviciniamo in disparte e in silenzio, e ci inginocchiamo per cercare una spiegazione. E ingenuamente ci afferiamo alle risposte inaspettate di chi sta consumando la sua vita. Come scriveva Sandra, una candela che si consuma diffonde la sua luce attorno.

martedì 14 ottobre 2014

A proposito di nuovi arrivi

Casa de los Niños, Bolivia, 14 ottobre 2014

Oggi mi sono anticipato e ho mandato per email alcune foto di un nuovo bimbo, Jhonni, che è stato trasferito qui da noi proveniente da un altro Centro. Nel breve messaggio commentavo che Jhonni ha un anno e che, quando aveva pochi mesi, i genitori, per rabbia, in un momento di ubriachezza, l’hanno fatto cadere a terra. Ora il bimbo soffre un grave danno cerebrale che probabilmente non potrà mai superare. Oltre al dramma enorme di essere stato privato quasi subito della sua famiglia.

Ovviamente, il bimbo è stato sottratto ai genitori e affidato agli Enti Pubblici. Oggi la Giudice dei minori ha ordinato il suo trasferimento alla nostra casa. E noi cominciamo la scoperta della sua storia che si intreccia con la nostra e con quella dei nostri bimbi, ed anche con quella di quanti ci vogliono bene da vicino e da lontano. Jhonni è un bimbo sveglio, ha un volto molto sereno ed è molto carino. Anche lui guarda sempre il cielo, sdraiato nella sua nuova culla. A dire il vero, Jhonni, come Juansito, dirige i suoi occhi al soffito, al cielo come diciamo noi, ma non vede. Il danno cerebrale è centrale ciò che significa che i suoi sensi sono fortemente limitati. Viene la pelle d’oca e un luccicchío agli occhi, vero, quando si parla o si leggono queste cose...

Ma la realtà è quella che ci circonda nella sua crudezza e che si tocca con mano, e che imparare piano piano ad avere il coraggio di guardare in faccia. Siamo tutti deboli, ma per tutti, ed anche per Jhonni possiamo sognare o inventare una casa che apra le sue porte ed una famiglia disposta ad accoglierlo con il cuore aperto. In questo caso è la famiglia estesa de “la casa de los niños” che oggi accoglie emozionata il piccolo Jhonni.

Come dicevo, scopriremo poco a poco la sua storia ed intanto iniziamo a condividere con lui gli istanti semplici della vita quotidiana: come dargli da mangiare, come tenerlo in braccio, come riempirlo di tenerezze, o cosa gli fa piacere.

... Nei giorni precedenti all’arrivo di Jhonni ero stato colpito da un piccolo biglietto che mi ha fatto avere una ragazzina che frequenta la nostra scuola, ma che non vive qui con noi. Un biglietto che mi ha fatto riflettere: voglia di libertà, forza di volontà, desideri profondi che vengono in luce, lotta sofferta, vittorie da conquistare, sogni che possono diventare realtà...

Sara, così si chiama la ragazzina che me l’ha scritto. Lei vive in un altro Centro di cui ho già parlato e che si chiama CATD: Centro di Accoglienza Temporanea per bambini Disabili. L’aggettivo Temporanea è un eufemismo perché per la maggior parte dei bimbi che entrano in quel Centro l’accoglienza non ha una scadenza e quasi sempre si traduce in un soggiorno a vita. In genere, purtroppo, una vita breve...

Il CATD accoglie attualmente 28 bimbi. Il Giudice ha già trasferito da noi 5 bimbi di quel Centro, il primo è stato Mateito, 4 anni fa. Poi sono venuti Teresita e Jhon Ademar, ed altri due, Jhonny e Wendy, che siamo riusciti a reinserire nelle famiglie di origine offrendo loro due appartamentini della nostra Cittadella. Tutti gli anni, alcuni bimbi del CATD hanno la fortuna di frequentare la nostra umile scuoletta. Li andiamo a prendere al mattino in pulmino, mangiano a scuola e poi ritornano nella loro “prigione” (forse un nome troppo forte..., ma quando vedo quei bimbi che passano il cancello del CATD e le infermiere che chiudono in fretta con un lucchetto la porta, mi viene da pensare a una cella...).

Sara è una di queste ragazzine fortunate, fortunate per modo di dire visto che lei, che ha 21anni, ne ha trascorsi 20 in quel Centro. Sara dimostra 13 anni e presenta multiple disabilità per questo è ancora sotto la tutela di un Giudice. Da sempre vive su una seggiola a rotelle, molto limitata anche lei nei movimenti e nei riflessi, ma non nei pensieri e nelle sue aspirazioni. La sua realtà fisica è triste, ma il suo volto è radiante, come quello del nostro piccolo nuovo arrivato.

Ma torniamo al suo biglietto, che possiamo scoprire insieme nella foto allegata, e che interpretiamo così visto che Sara sà scrivere solo se guidata dalla maestra:

ARI, QUIERO VIVIR EN LA CASA DE LOS NIÑOS.  SARA 

Non c’è bisogno di traduzione. E’ questo il suo desiderio profondo: vivere nella nostra casa, non solo venire a scuola da noi! Immaginiamo quanto Sara abbia lottato con se stessa per poter mettere giù a forza quelle 4 righe. E’ come se avesse voluto tirar fuori dalla sua pelle il sangue più puro che circola nelle sue arterie. Infatti, vediamo il sangue, che irrora di vita il nostro corpo, solamente come conseguenza di una ferita aperta.

Scopriamo adesso in Sara una ferita enorme che lacera da anni, nel silenzio e nella solitudine, il suo corpo e fa ardere la sua coscienza di ragazzina privata di tante sicurezze e di comuni abilità: stringere una mano, sbiaccicare una parola, controllare una smorfia, manifestare un sentimento... Ma Sara non si è arresa. Lei sta lottando per la sua libertà ed è riuscita a comunicarcelo, unendo punto per punto il grido di speranza racchiuso da anni dentro la stretta cornice dei limiti della sua esistenza.

Non ho ancora risposto a Sara. Non voglio illuderla. ... Ieri mattina sono andato dalla Giudice con il biglietto di Sara. La Giudice si è commossa: felice inizierà al più presto le pratiche legali per il trasferimento di Sara alla Casa de los Niños. In questo momento non abbiamo tante braccia nella nostra casa, ma non possiamo mettere nel cassetto il biglietto di Sara. Speriamo di poter mandare presto una foto di “ben arrivata” anche per Sara.



sabato 26 luglio 2014

la dimostrazione dell' amore

Quando arrivò alla “Casa de los Ninos” poco più di 5 anni fa, i medici dell’ospedale dissero che non c’era niente da fare e che aveva solo 2 settimane di vita. Per fortuna l’essere umano, nonostante tutti gli sforzi, non è in grado di controllare la natura e la previsione si è mostrata con tempo totalmente sbagliata. Perchè David non solo continua la sua esistenza su questo pianeta, ma soprattuto riesce ancora ad “illuminare” tutte le persone che si avvicinano a lui. Ho visto decine di volontari innamorarsi di questo bambino speciale (non a caso qui i bimbi con discapacità vengono chiamati “Ninos Especiales”): alcuni sono tornati solo per lui, altri hanno prolungato la loro permanenza, altri ancora sono riusciti ad avvicinarsi alla complessa realtà di questa terra speciale attraverso i suoi occhi.

http://unannosenzainverno.com/2014/06/28/la-dimostrazione-dellamore/




Ogni giorno...un miracolo... di Chiquicollo

lunedì 12 maggio 2014

Il piccolo Ronald, ovvero: la speranza che si moltiplica e trascina

Casa de los Niños, Bolivia, 12 maggio 2014

Carissimi Amici e Carissime Amiche! Stasera pensavo nella necessità di ringraziare. C’è un forte legame che ci unisce, anche nel silenzio di questi mesi. Mercoledì, tra due giorni, riparte il nostro Ronald per l’Argentina. I medici dell’ospedale Garrahan di Buenos Aires si sono decisi ad operarlo. L’intervento è previsto per lunedì 19. Un intervento delicatissimo, con rischi molto alti. Abbiamo preparato tutti i documenti e tutti gli esami necessari, oltre alle garanzie in cui sono coinvolti anche i suoi genitori che sono al corrente dei rischi ed hanno dato il loro consenso all’intervento.

Ronald ha 4 anni. In questi mesi ha continuato ad alimentarsi per sonda gastrica ed è stato quasi sempre in ospedale perché il suo stato di salute richiedeva un controllo medico costante prima dell’intervento. Ronald non sa a cosa va incontro, ma si fida di noi. E noi, in questa scelta così difficile, ci affidiamo al legame che ci unisce, insieme al parere e alla capacità dei medici. Ronald va accompagnato dall’affetto e dalla simpatia di tutti noi.

Ma questa volta, Ronald non va solo. Infatti, sarà accompagnato, oltre che dal medico della nostra casetta, anche da altri due bimbi: Juan José di 4 mesi, e Mathías di 5 anni. Li abbiamo conosciuti nel nostro andare e venire quasi giornaliero dall’ospedale pediatrico di Cochabamba. Sono due bimbi che hanno gravi problemi respiratori e come Ronald vivono soggetti ad un apparecchio. Hanno sofferto, infatti, un intervento di tracheotomia. Nel loro caso si tratta di un tubo inserito in gola che permette la respirazione ma impedisce la vibrazione delle corde vocali.

Abbiamo esperienza di questo procedimento perché qui con noi vive da tre anni Anahí, la ragazzina di 15 anni che ha subito lo stesso intervento di collegamento esterno della trachea ai polmoni. Con lei abbiamo imparato a convivere con questo dramma che ora per Anahí, ormai adolescente, si è trasformato in un vero dilemma: “Quando potrò tornare a parlare come le mie amiche?” Tra qualche settimana anche Anahí andrà in Argentina per un controllo medico più accurato, ma i medici boliviani ci hanno informato che nel suo caso la tracheostomia è praticamente definitiva. Dovrà portare per tutta la vita quel foular al collo che le nasconde il tubo e la fa apparire come tutte le altre ragazzine, ma che le impedisce di parlare normalmente.

Ogni volta che andiamo all’ospedale ci chiediamo come Anahí: “Juan José e Mathías potranno un giorno parlare normalmente? Potranno mettere nel cassetto dei ricordi quel loro apparecchio?” Nè noi, nè i medici boliviani abbiamo le conoscenze e certezze necessarie per poter dare una risposta.

Allora ci facciamo trascinare dall’esperienza fatta con Ronald e voliamo sulle ali della speranza in Argentina, a un ospedale più preparato che ci accoglie sempre con affetto e simpatia come l’affetto, la simpatia e la generosità che volano verso la Casa de los Niños dal cuore di tutti voi. Le famiglie di questi nostri bimbi ammalati sono molto umili ma l’incontro con la Casa de los Niños ha aperto uno spiraglio di luce nel loro dramma: la debolezza che si trasforma in speranza.

Riprendo per tutti questo pensiero del mese scorso: Noi non siamo esperti. Abbiamo imparato a credere che insieme si può guardare al futuro di chi è meno fortunato di noi e insieme si può condividere in silenzio il dolore. Per questo è nata “La Casa de los Niños”. L’orizzonte de “La Casa de los Niños” è ampio perché è l’orizzonte ingenuo della debolezza e del sogno. Confidiamo nella simpatia di tutti voi perché ci siate vicini nell’illusione e nella speranza di questo volo verso l’Argentina di Ronald, Juan José e Mathías. Insieme alle loro famiglie, ringraziamo tutti/e di cuore!

mercoledì 26 marzo 2014

2 aprile 2014, spettacolo di beneficenza al Teatro Carani di Sassuolo

Uno spettacolo dialettale al Teatro Carani a Sassuolo il 2 aprile. Il ricavato è destinato anche ai progetti di Casa de los Niños in Bolivia a Cochabamba. In scena la compagnia "Qui d'cadros" con la commedia dialettale "Magagni Incartedi".
Ci farebbe molto piacere che coloro che sono vicini alla Casa de Los Ninos partecipassero numerosi, per passare una bella e divertente serata all'insegna del divertimento e della solidarietà

venerdì 3 gennaio 2014

arrivo di un nuovo anno

Proprio ieri parlavo con Luciana per telefono e le confermavo che quasi tutti i bimbi sono stati affidati alle nostre famiglie, ci manca solamente Teresita, la bimba cieca di 6 anni. E che avevamo intenzione di non accogliere più bambini soprattutto dopo le inchieste e le accuse per la morte del piccolo Mateo.

Ma stamattina sono stato di nuovo in ospedale per cercare di risolvere un problema di salute del nostro Ronald e lì mi è stata fatta la richiesta di ospitare un bimbo di 5 anni con tumore diffuso in varie parti del corpo, soprattutto nello stomaco. Non sapevo cosa rispondere. Sono stato nel reparto a trovare il bimbo nel suo letto e poi sono tornato a casa, con una grande pena nel cuore.

Abbiamo parlato insieme, in casa, e abbiamo deciso tutti insieme di accogliere Jaime, il bimbo di 5 anni con il tumore diffuso.

Sono tornato in ospedale perché frattanto era arrivata la mamma. Ci siamo messi d'accordo con lei e Jaime è ora qui con noi.

Un bimbo fragile che quasi non parla, che fa fatica a camminare e a mangiare, ma soprattutto che non sorride...

E' di là che dorme, abbracciato ad cagnolino di peluche, nella stanza insieme a Ronald e a David, qui accanto c'è il piccolo Juansito.

5 anni... con gli istanti appesi ad un filo, ma sempre tanta speranza nel cuore ... anche per te, Jaime, ben arrivato nella casa de los niños.

Insieme a te, incomincia per noi un nuovo anno...