lunedì 21 febbraio 2011

letterina

Casa de los Niños, 20 febbraio 2011


Carissima Sonia!


Ti scrivo questa letterina per ringraziarti - a nome di tutti - dei dieci giorni che ci hai regalato, qui nella casa de los niños. Dopo averti salutata con un bacio, venerdì sera, adagiata nella tua culla, prima del nostro viaggio a Sucre, ti ho rivista stamattina dietro il vetro della tua nuova culla bianca, vestita come una principessina, con una corona da sposa tra i tuoi corti capelli, come sognano vestirsi tutte le bimbe del mondo.


Sembravi sorridere: il tuo volto era finalmente disteso.


Mentre eravamo a Sucre, sabato a mezzogiorno ci avevano avvisati per telefono che il tuo debole cuore non aveva resistito agli sforzi degli ultimi giorni. Gli occhi si sono inumiditi, un nodo in gola, e avrei voluto volare a Cochabamba per tenerti in braccio ancora una volta.


Ho capito cosa prova una mamma quando le nasce un figlio: un legame di sangue che unisce per l’eternità. Infatti, anche tu sei nata per noi in questi pochi giorni condivisi insieme. Sei nata sotto la pioggia incessante di questi giorni ad un legame eterno con tutti noi della casa de los niños, qui in Bolivia, là in Italia e dovunque c’è qualcuno che forma parte della nostra famiglia, e che ha saputo di te e ti ha stretta al cuore senza neppure conoscerti.


Anche per te avevamo chiesto il miracolo della guarigione: che sparisse quel peso che era entrato improvvisamente nel tuo cervello e ti immobilizzava in un lettino. L’avevano chiesto molto più intelligentemente e spontaneamente, venerdì mattina, i bimbi della scuola, specie i più piccoli: “Che Sonia possa camminare di nuovo e tornare di nuovo a giocare con gli altri bimbi!”.


Siccome non capiamo, cerchiamo di dare una spiegazione e allora dichiamo che il miracolo è avvenuto, ma in un altro modo.


Sí, non capiamo come non capiva questo pomeriggio la piccola Maria Lis, quando durante il funerale mi chiedeva: “Perché stanno sepellendo la piccola Sonia?”.


Sonia è rinata nella vita e nei desideri di ognuno dei nostri bimbi. Lei riprenderà a giocare nei giochi innocenti di ognuno di loro. Senza timore, infatti, i bimbi e le bimbe si sono avvicinati sereni al volto di Sonia, sorellina loro per 10 giorni e per sempre, per darle l’ultimo bacio di oggi, per consegnarle un fiorellino, mentre insieme cantavamo in un clima sommesso di festa le canzoni della scuoletta della pace:


“Vorremmo fare un ponte bello con i colori dell’amicizia. Verde la speranza di un mondo diverso. Giallo la nostra solidarietà”.


Eravamo in tanti nel povero cimiterino di Tiquipaya e il papà di Sonia, nella sua lingua, ha ringraziato tutti della cittadella per aver accolto col cuore la sua figlioletta ammalata. In quel momento, l’affetto e l’amicizia hanno vinto sul dolore.


Sei diventata da subito nostra figlia, Sonia, la nostra sorellina piccola.


Sonia Flores, che ci piace tradurre così: Sonia dei fiori.


Come i bimbi appena nati, non abbiamo sentito il suono della tua voce e non abbiamo fatto in tempo a vederti camminare, ma ti abbiamo accolta nel cuore, da subito, e ci siamo affezionati da subito a quella tua mano che sollevavi ogni tanto per esprimere un desiderio silenzioso che dovevamo intuire e interpretare: erano i tuoi passi e le tue parole inespresse per comunicare con noi, per avvicinarti a noi.


C’era un mistero dietro ogni tua espressione come c’è un mistero inaccessibile dietro il dolore assurdo dei piccoli.


Tante domande sono passate per la nostra mente in questi 10 giorni e chissà quante sono passate nella tua... Sono rimaste senza risposta come non ha risposta la richiesta di Maria Lis questo pomeriggio: “Ma perché stanno sepellendo Sonia?”.


E allora, siccome non capiamo, cerco una spiegazione e mi viene da pensare alla legge profonda sulla quale facciamo tanto affidamento noi della casa de los niños: la legge della debolezza.


Non abbiamo sicurezze, conquiste o successi su cui appoggiarci, su cui contare. Contiamo sui piccoli, teniamo davanti agli occhi la debolezza nostra e di ognuno.


Non ce la facciamo da soli.


E’ per questo che – con i bimbi, con i poveri, con gli ammalati - ripetiamo la frase che sta scritta sulle nostre magliette, riflessa dagli occhi di una bimba:


“Dì a qualcuno che io sono qui”.


Ed è proprio vero che tu continui ad essere qui, Sonia: Sonia dei fiori, Sonia della casa e los niños.

lunedì 14 febbraio 2011

14 febbraio 2011: l'arrivo di Sonia

Poco fa Milton mi ha chiesto: "chi è questo bimbo che sta nella culla". Il bimbo è una bimba , ma per via del taglio dei capelli può sembrare un bimbo. La culla è quella di David che Sonia, come già sapete da Gianluca, sta condividendo da alcuni giorni con lui. Mi permetto di riprendere il messaggio di Gianluca, pubblicato nel suo blog l'altra settimana, così com'è perché è il riflesso fresco e profondo dell'arrivo di Sonia qui a casa, mercoledí scorso:


.. anche Sonia ha il potere di insegnare a chi le è affianco una marea di lezioni di vita in pochissimi secondi come solo poche altri uomini al mondo sanno fare. Con lei ho imparato che le persone malate sono persone "speciali" e, in quanto tali, normali; perché ognuno di noi ha delle specialità che nessun altro al mondo conosce, ma le bambine come Sonia sanno condividerle all'istante con tutti e sanno arrivare al fondo del cuore di chi ha la possibilità di incontrarle. Ed ora vi spiego il perché?


Sonia è malata, ha un tumore al cervello e in ospedale non si può fare più nulla per lei. Sonia correva in bici, andava a scuola e parlava con tutti fino ad un mese fa, ma ora la malattia l'ha resa incapace di compiere qualsiasi gesto che non sia la respirazione e qualche timido movimento. Sonia ha bisogno di amici che la accompagnino in questo momento speciale della sua vita e mi auguro col cuore che tutte le persone che passino di qui in questi giorni, me compreso, sappiano apprendere da lei il più possibile,perché Sonia chiede in cambio solo un sorriso. Non so il perché ma ci sono dei piccoli e intensi istanti nella vita di ognuno di noi che non si dimenticano mai: te li ricordi anche dopo 100 anni! Beh uno di questi momenti me li ha donati proprio questa bambina di 6 anni e 6 mesi: era poggiata sulla sedia a rotelle e un infermiere la stava accompagnando alla nostra Jeep mentre con i suoi genitori abbandonavamo l?ospedale. Non ero ancora riuscito a vedere i suoi occhi perché la sua testa poggiava verso il basso mentre attraversavamo la strada. Arrivati a destinazione, l'infermiere le toglie la sciarpa che le serviva per non cadere dalla sedia e decido di prenderla per le braccia e accompagnarla sul sedile. Ora non so se è stato un caso, una coincidenza o una mia suggestione, ma nel momento stesso in cui l'ho abbracciata e l'ho tirata verso di me la sua testa si alza, il suo sguardo incrocia il mio, ho visto il sole risplendere nei suoi occhi e nello stesso istante,non so cosa,ma qualcosa di lei è passato in me,non so come spiegarvelo,ma non avevo mai provato una sensazione del genere e mai riuscirò a parole a descrivervelo. Lascio lentamente cadere il corpo di Sonia tra le braccia della mamma e con Aristide ci avviamo verso la nostra casa. Ora Sonia riposa in un lettino mentre io vi scrivo dalla mia camera accompagnato dal frastuono del tetto di ferro battuto da una pioggia assordante, ma ho ancora il calore di quello sguardo impresso nella mia memoria e penso a come poter trasformare quel calore in qualcosa di buono per le persone che mi sono affianco senza chiedere nulla in cambio,perché sento che questo sia l'insegnamento donatomi da questa bambina sconosciuta che in pochi secondi è entrata nella mia vita e spero mai ne uscirà!


Sonia è ammalata da un mese, con una malattia imprevista e incurabile. Quando l'assistente sociale dell'ospedale ci ha chiesto di riceverla perché non si poteva fare più niente per lei, noi abbiamo accettato subito, con il consenso dei genitori. Noi non siamo degli specialisti, ma quando possiamo, diciamo di sì, senza pensarci troppo, soprattutto se si tratta di bambini. E lo facciamo insieme, con un accordo tacito, unanime e quasi istintivo che condividiamo anche con chi sta dall'altra parte del mondo. A dire il vero, nel caso di Sonia abbiamo discusso perché capiamo che la cosa più importante per lei è stare con genitori, mica con noi! Si illumina quando li vede o sente la loro voce. Non sappiamo se sente bene o se vede bene, neanche i medici ce lo sanno dire, ma probabilmente intuisce la presenza o l'assenza dei genitori e dei fratellini. Sono in 7 a casa. Abbiamo visto con Gianluca la casetta dove vivono, in un cortile dove si fabbricano mattoni, nella zona dietro l'aeroporto, una zona malsana, a due passi dal bughiciattolo dove qualche anno fa viveva pure il piccolo Manuel con la sua famiglia. Più che una casa, è uno stanzone di circa 15 metri quadrati, senza nessun tipo di sevizio.


Sonia, in questo momento della sua vita, deve stare necessariamente con i genitori e allora noi subito abbiamo offerto una delle nuove casette per la sua famiglia affinché i genitori e i fratelli si trasferiscano da noi il più presto possibile. La mamma e due sorelle ieri notte hanno dormito provvisoriamente qui. Intanto facciamo noi i turni per stare con la bimba di notte. E non si tratta certo di un sacrificio o di un atto eroico. E' un semplice gesto di affetto e di bontà: accompagnarla di notte come di giorno, tanto lei è brava e non si lamenta mai.


Ogni gesto è speciale con lei: darle da mangiare con la siringa; intuire quando ha fame; cambiarle il pannolino; fare un giretto fuori casa con il passeggino; metterla davanti al televisore per farle ascoltare musica; pulire il suo volto che a volte si macchia di vomito; scattarle una foto; ripararla con una coperta; chiamarla per nome nella speranza di vedere una sua reazione; un bacio in fronte, una carezza sui capelli; uno sguardo e un sorriso alla ricerca dei suoi occhi che trascorrono chiusi la maggior parte del giorno.


E' una bimba di 6 anni, come tanti dei nostri bimbi che ora giocano nel parco, di ritorno dalla scuola.


Vengono tante domande: perché la malattia ha scelto proprio lei? Perché tanta impotenza? Come si può improvvisamente spegnere la vita in una bimba?


Chissà quanti gridi repressi nel suo corpo.


Possiamo immaginare i suoi pensieri di bimba: Vorrei tornare a camminare. Vorrei giocare con le mie sorelline. Vorrei alzarmi dal letto, ma non ho la forza neppure di piangere. Vorrei stringere in un abbraccio i miei genitori. Vorrei mangiare un panino con la mantequilla e bermi da sola un bicchiere di latte. Vorrei un cioccolatino. Vorrei togliermi dalla testa quest'affare che mi opprime. Vorrei togliermi anche questo odioso pannolino che mi fa vergogna: ho già sei anni! Vorrei vedere Cenerentola in televisione. Vorrei comunicare quello che mi succede dentro ma improvvisamente non ho la forza di muovere nessuna parte del mio corpo?.


"Vorrei, vorrei", è il verbo dei bimbi che spesso noi sgridiamo perché li consideriamo capricciosi.


Davanti a Sonia anche noi vorremmo, vorremmo tante cose. Ma vogliamo soprattutto sognare insieme il miracolo per la sua vita. Noi ci guardiamo in faccia e chiediamo insieme il miracolo per la sua vita, lo chiediamo perché non ci sembra giusto vederla com'è adesso. Vorremmo conoscerla com'era un mese fa: bimba tra gli altri bimbi. Non ci sembra giusta la straordinarietà del dolore in Sonia: vorremmo la normalità dei giochi e dei capricci per lei. Vorremmo sentire le sue grida risuonare nella casa de los niños...


... Sonia si prepara per andare a letto... Qualcuno le farà compagnia... Lei si sentirà tranquilla e dormirà...

domenica 6 febbraio 2011

Sebastian ha salvato suo padre!



Nei giorni scorsi, ho sentito ripetere spesso, in casa, questa frase densa di significato:
"Sebastian ha salvato suo padre!"


Tanti conosciamo la storia di Sebastian: 6 anni compiuti in giugno. Qui con noi dal 12 marzo 2007. La mamma morta un anno più¹ tardi a causa della stessa malattia che ha lui. Il fratellino più piccolo che non abbiamo fatto in tempo a conoscere. Il papà che non ha voluto mai curarsi nè prendersi cura del suo bambino, anche se ogni tanto veniva a visitarlo riempiendolo di regalini.


Tutti i bambini che sono arrivati da noi da quel 2007 sono già rientrati presso le loro famiglie. Solo Sebastian è rimasto qui a casa, conquistandosi la simpatia di quanti l'hanno conosciuto. Quando si è visto solo, Sebastian ha iniziato a pregare tutte le sere: "Che venga la mia famiglia a prendermi!"


Che venga la mia famiglia a prendermi, com'era successo con gli altri bimbi e comèera più che giusto. Quante volte abbiamo studiato la forma di mandarlo in Italia affidandolo agli amici che gli volevano un sacco di bene, ma questo cammino era impossibile!


Quante volte abbiamo chiesto al padre di venire a vivere qui da noi, ma il padre trovava sempre una scusa e vedeva questa come una soluzione dagli ostacoli insormontabili!


Allora non ci restava che la preghiera, quella chiarissima di Sebastian e la nostra più dubbiosa. Ma a novembre è successo l'incredibile: il papà di Sebas si è trasferito improvvisamente alla casa de los ninos! E Sebas se ne è andato tutto felice a vivere con lui (e con la signora che lo accompagna), prima in un appartamentino qui di fronte, poi in una bella casetta della cittadella, dove ha la sua stanzetta: uno dei nostri sogni per il 2010 che si è realizzato e che ovviamente ci ha riempiti di commozione.


Nei giorni scorsi, dopo molte insistenze, abbiamo convinto il papà di Sebastian a fare gli esami per la sua malattia. Ci eravamo resi conto che non stava bene e gli esami ne sono stati una conferma: perdida di 12 chili in pochi mesi, una grave infezione in gola. Subito ai ripari con le medicine corrispondenti. Ora il papà è sotto controllo, ma dobbiamo continuare e tenerlo vicino, se no...


Il virus dell' HIV è terribile: per anni può stare lì, in silenzio, senza farsi notare, poi improvvisamente esplode e se uno è da solo, è la fine. Abbiamo, purtroppo, visto tanti casi risolversi in questo modo così drammatico, in questi anni.


Per questo è proprio vero che Sebastian ha salvato suo padre perchè - grazie alla sua preghiera insistente - suo padre è arrivato qui da noi in tempo per farsi curare. E' venuta la famiglia a prendersi Sebastian, ma è stato Sebastian che ha permesso che la sua famiglia continui ad esistere. Un regalo di cui probabilmente suo padre non è cosciente, ma noi sì, e di questo ringraziamo Sebastian.


Ma se ci voltiamo indietro, non è l'unico caso in cui possiamo dire che un bimbo salva il genitore, salva la famiglia.


Passavo l'altro giorno davanti alla casa di Manuelito. C'era suo padre sulla porta. Un padre anziano, consumato dall'alcool. Dimostra più dei 65 anni che ha. Anche la madre è consumata per lo stesso motivo. Ma l'altro giorno ho chiesto a don Marti­n e a dona Vilma da quanto tempo non bevevano. E loro mi hanno risposto spontaneamente che da quando Manuel è con loro hanno smesso di bere perchè hanno vergogna di farsi vedere ubriachi da lui. E dai loro volti sdendati è sbucato delicato un sorriso infantile e si sono stretti l'uno all'altra. Ed è così: da tempo non vedo don Marti­n e dona Vilma ubriachi. Ed è una cosa quasi incredibile per loro e per noi. E quando passiamo davanti a casa loro, sono sempre sulla porta che salutano orgogliosi dei loro bimbi. E Manuel chiama sua padre con questo simpatico diminutivo: papucho. Anche il papucho don Marti­n è rinato: lavora puntualissimo tutti i giorni nella costruzione delle casette; guadagna uno stipendio dignitoso; mantiene la sua famiglia e può guardare la vita con serenità .


Anche Cristina, la mamma di Mari­a Renè, da qualche tempo è un'altra persona: ti saluta quando la incontri; sorride e scherza con le altre mamme; E' l'incaricata della cucina della scuola; tiene in ordine la sua casetta; porta sempre a spasso le sue figlie; le tiene ordinate come bamboline; cammina con la testa alta. Non si vergogna più della sua malattia. Chi l'ha conosciuta qualche anno fa sa che salto incredibile significhi tutto questo: quasi un miracolo! Proprio 5 anni fa, Mari­a Renè ci fu affidata dai responsabili dell'ospedale perchè la madre non aveva la capacità psicologica di farsi carico nè della propria figlia nè del proprio futuro. In questi anni abbiamo accompagnato Mari­a Renè e ci siamo portati appresso anche la sua mamma. Ora navigano felici da sole, insieme all'altra figlia Anahì­, e noi ne siamo molto soddisfatti.


... e potremmo continuare con gli esempi degli altri bimbi che vivono nella nostra cittadella. Tante storie sofferte che si sono trasformate in storie luminose, in cui la povertà e il dolore, l'emarginazione e la mancanza di dignità hanno lasciato il posto all'armonia di famiglie più unite e più responsabili grazie all'amore e alla preghiera dei piccoli, dei bambini.


... noi accompagniamo per un tempo, offriamo spazi di ospitalità , poi i bimbi prendono il volo insieme alle mamme e ai papà (quando ci sono!), e la nostra casetta si svuota.
Arriveranno presto altri bimbi, e la storia bella, speriamo, si ripeterà .
Questa è la storia bella della casa de los ninos: sono i bimbi che ricostruiscono le famiglie!