Da quando è arrivato da noi, ho pensato che il piccolo Gianluca, il bimbo della tribú Yuqui che è nato 5 mesi fa nella sala dell’ospedale in cui era ricoverata la mamma gravemente ammalata, superata la fase della nascita prematura, sarebbe stato un bimbo con un futuro sereno, un bimbo sano. Pensavo, infatti, che sarebbe stata molto diversa la sorte del piccolo Gianluca, prematuro ma sano, da quella del piccolo Juan, con la sua grave e incurabile malattia cerebrale.
L’altra notte siamo stati svegliati dalla chiamata della famiglia che ci aiuta a curarlo in questo periodo. Il piccolo stava piangendo sconsolato da ore e non se ne capiva il motivo. Si pensava ad una congestione intestinale visto che sin dalle prime settimane di vita il suo intestino faticava a liberarsi. “Cosa normale, nei bimbi prematuri”, ci avevano rassicurato i pediatri: “Problema che si normalizzerà con la crescita”.
Ma in quel momento bisognava prendere una decisione e così, fuori dal letto, e in macchina verso l’ospedale pubbico, a notte fonda. Gli altri bimbi della casa sono sotto controllo, a quell’ora.
Pensiamo che forse basterà un piccolo clistere o una sondina per liberarlo dai gas intestinali. Ma, invece, non è così e quella notte si trasforma in breve in un calvario perché nei diversi ospedali verso cui di dirigiamo non ci sono le condizioni per ricevere un caso che si presenta più difficile del previsto: un blocco intestinale con necessità di un intervento chirurgico. Negli ospedali pubblici, il chirurgo purtroppo non è rintracciabile a quell’ora, e poi mancano le condizioni per preparare la sala per l’intervento: bisognerà aspettare sino al mattino.
NO! Non si può aspettare. La sua pancina è come un palloncino che pronto a scoppiare da un istante all’altro!
Allora via di corsa ad un altro ospedale specializzato in malattie gastrointestinali. “Ma qui operiamo solo adulti”, ci dicono. Corriamo verso un ospedale pediatrico. Incontriamo un medico che per fortuna ci conosce e ci spiega bene la situazione: è necessario operare d’urgenza. Ma: dove? Insistiamo: noi non conosciamo chirurghi esperti in pediatria. Il medico prende la sua agenda e incomincia a chiamare per telefono. Finalmente, un medico è disposto ad intervenire subito, ma in una clinica privata.
Non importa. Alle spese ci penseremo dopo.
Il piccolo Gianluca non smette di piangere. Di corsa verso la clinica privata.
Dopo mezz’ora, il bimbo è in sala operatoria. Fanno entrare uno di noi. Dal taglio aperto si vedono le viscere completamente gonfie, una parte si è arrotolata sull’altra e bisognerà reciderla. Stenosi è la diagnosi: di lì non passa niente!
L’operazione dura un’ora e mezza. Siamo in pena. Gianluca ha solo 5 mesi di vita ed è già in sala operatoria. L’operazione è molto delicata, ne percepiamo la gravità e soffriamo nell’attesa e nell’incertezza.
Esce il chirurgo: tutto è andato bene. E’ stato reciso un piccolo pezzo di intestino, ma adesso il bimbo potrà ricuperarsi. Se non si fosse intervenuti subito, se avessimo aspettato sino al mattino, e non fossimo corsi da un ospedale all’altro il corpicino del piccolo Gianluca non avrebbe resistito!
Dopo tre ore vediamo il bimbo, steso in un letto grande della clinica. Ha il volto bellissimo di sempre, ma stremato per la fatica delle ore precedenti. Ricordiamo i suoi primi giorni quando aveva la sonda nel nasino per aiutarlo nell’ alimentazione. Ricordiamo le tante volte in cui con le sue manine se la staccava. Anche adesso bisogna tenerlo fermo se no si toglie tutto!
E’ pieno di tubi. Le prime ore dopo l’intervento sono critiche, ma ci affidiamo ai medici e a chi ci ha giudati in quella notte difficile.
... sono passati due giorni e il bebé sta prendendo le prime gocce di latte, sono praticamente gocce, ogni tre ore. Tutto procede normalmente ed ora il piccolo Gianluca piange, sí, ma perché ha fame, e lo si capisce. Ma il suo intestino ha ripreso a funzionare. E non è più gonfio come un palloncino. Non erano così semplici e sicure la sua vita e il suo futuro come io pensavo ingenuamente all’inizio.
Il cuore ci guida, ci guida l’affetto, e ci mette in crisi l’inesperienza. Ma ci alziamo, corriamo, bussiamo a tutte le porte con testardaggine. E cerchiamo sempre di fidarci di chi ci guida nell’imprevisto e nell’oscurità della notte.
E il cuore ritorna a costruire storie e speranze future, con una maggior esperienza su questo bene per gli altri, soprattutto per i più e i più indifesi, che stiamo imparando a modellare tra le pareti e i mille cuori della casa de los niños.
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